Santa Sofia-Storia, Orari, Mosaici, Migliore Guida

 

​​Santa Sofia è stata ufficialmente riconvertita in moschea​

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Santa Sofia(Aya Sofya) è 7/24 aperta

Ingresso gratis come tutte le moschee

Aperto tutti i giorni. Chiuso ai visitatori durante le preghiere. Evita di venire 30 min. prima e 30 min. dopo la preghiera.

La preghiera di mezzogiorno del venerdì dura circa 2 ore. Tienilo a mente prima di pianificare la visita.

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Istanbul Museum Pass – Ingresso ai musei e moschee

 

Aya Sofya è uno dei due grandi monumenti che dominano la piazza. Passiamo sotto i castagni che fiancheggiano la strada e visitiamola.
Dobbiamo cominciare spiegando l’origine del nome. Sofìa, il nome di una ballerina da strada, una cortigiana che diventò imperatrice, non ha nulla a che vedere con il nome di questa cattedrale che deriva dal vocabolo greco «Sophia» che significa «sapienza», cui si aggiunse l’aggettivo «Santa» per formare l’espressione «Divina Sapienza».

Si dice che Costantino fece erigere una chiesa nel luogo della presente Santa Sofia nel 325; fonti più sicure attestano che suo figlio vi fondò un santuario nel 360. Esso fu distrutto dal fuoco nel 404 e Teodosio 11 lo ricostruì nel 415 ma, nel corso delle rivoluzioni che scossero il trono e divisero la nazio­ne in fazioni opposte, i Verdi e gli Azzurri, il tempio fu raso al suolo. Fu allora che Giustiniano decise che in questo luogo dovesse sorgere un capolavoro, un’opera d’impareggiabile ma­gnificenza. Il 29 febbraio 532, dopo un periodo di 39 giorni, egli appose il suo sigillo sulla prima pietra del nuovo santuario.

Questa grande opera, una delle glorie del mondo, è frutto del lavoro di due geni dell’Anatolia, gli architetti Anthemius di Tralles (ora Aydin) e Isidoro di Mileto. Cento capomastri e diecimila operai lavorarono sotto la loro supervisione.

I minerali più preziosi che l’Asia Minore fu in grado di fornire vennero usati nella costruzione.

L’inizio si ebbe con il trasferimento di otto colonne di porfido rosso, originarie di Eliopoli in Egitto, che furono dappri­ma imbarcate per Roma e poi convogliate a Bisanzio; marmo, lingotti d’oro e d’argento, avorio furono mandati da Efeso. Baalbek e Delfo. Tutti i materiali più preziosi e costosi – blocchi di marmo delle isole sul Marmara, marmo verde dall’Eubea e rosso di Synada (vicino ad Afyon) — vennero impiegati nel cantiere. Il marmo giallo venne dall’Africa.

Si è stimato che le spese affrontate nel corso della costru­zione ammontarono a trenta milioni dollari. Ma se teniamo conto del basso costo della mano d’opera nel tempo e il largo impiego del lavoro degli schiavi, si può desumere che il costo dell’edificio avrebbe dovuto essere ben maggiore. Giu­stiniano depauperò te sue finanze e fu costretto a imporre nuove tasse.

L’imperatore inaugurò ufficialmente la chiesa il 27 dicem­bre 537. Fu ricevuto dal patriarca Menas e, secondo l’uso e il costume, avrebbe dovuto entrare nel tempio con la mano in quella del patriarca. Sopraffatto però dalla magnificenza della cattedrale, Giustiniano dimenticò il patriarca e, proseguendo da solo, pronunciò le storiche parole : «Oh Salomone, ti ho superato!».

Anche se non proviamo proprio le stesse sensazioni di grandiosità dell’Imperatore, e non possedendo in ogni modo il rango necessario per manifestarle in quel modo, entriamo nel tempio maestoso e guardiamoci intorno, esternando cionondi – meno la nostra ammirazione, ma con la differenza che invece di entrare da sud, come fece Giustiniano che percorse la via principale per entrare in chiesa,  Comunque, ci dicono gli storici, la porta principale era strettamente riservata per le occasioni solenni! L’atmosfera so­litaria del Narthex esterno e i soffitti imponenti sembrano darci il benvenuto al nostro arrivo. Il portone dei Narthex interno è sormontato da un mosaico che ritrae, su di uno sfondo d’oro, Gesù e Maria, posti al centro, con Costantino, fondatore della città, a un fianco, e Giustiniano, edificatore della chiesa, all’ altro. Costantino è colto nell’atto di offrire le mura della città; Giustiniano, la chiesa di Santa Sofia.

La facciata del muro orientale del Narthex interno è fascia­ta fino al soffitto da antichi marmi colorati di grande valore; l’interno del tempio, sormontato dalla cupola più maestosa, è collegato all’esterno da nove portali. Queste nove porte danno accesso al centro della chiesa; la quinta, la più aita di tutte, fu quella usata dall’imperatore. A fianco di essa, su entrambi i lati, c’erano le guardiole dove prestavano servizio due custodi. Il tempo e le lunghe ore di guardia hanno consumato la pietra, talché il peso degli armati che montavano la guardia in quel punto ha lasciato una cavità. La vista di ciò ci ricorda quanto vane sono le presunzioni umane e quanto fugace la nostra vita su questa terra, e sveglia in noi tristi e grevi pensieri.

La prima sensazione che si prova entrando è data dalla grande altezza e dalle imponenti proporzioni dell’edificio. Santa Sofia, con il suo aspetto esterno massiccio e piuttosto severo, non preannuncia lo splendore e la nobiltà dell’Interno. La lun­ghezza del tempio è di 81,80 metri, quella del Narthex interno 10,50 metri e del Narthex esterno di metri 6,60. li che, aggiunto allo spessore dei muri, porta a un totale di 101 metri. Con la sua superficie di 7.570 metri quadrati, è la quarta in grandezza fra le cattedrali del mondo, dopo St. Paul a Londra, S. Pietro a Roma e il Duomo di Milano. Deve però essere tenuto presente il fatto che queste chiese furono costruite in epoche posteriori: nel suo secolo, Santa Sofia fu il più grande monumento che il mondo avesse mai visto.

Avanziamo ora verso il centro della cattedrale. La grande cupola richiama subito la nostra attenzione; nessun visitatore, non importa di quale religione o razza, può mancare di essere impressionato dalla sua mole e splendore.

Dopo la restaurazione della cupola, nel 1847, il calligrafo Mustafa Izzet Efendi vi scrisse un verso per la posterità in ca­ratteri arabi dorati.

La miglior posizione per osservare da sotto questa cupola superba, che sembra nella sua altezza appartenere al cielo piuttosto che alla terra, è quella di prendere come punti di ri­ferimento i segni incisi sulla pietra; questi sono fissati in relazione al punto centrale immedatamente sotto il vertice della volta e segnano l’estensione dell’ogiva. La cupola è alta 55,60 metri; da una parte il raggio misura metri 30,876, dall’altro metri 31,877 rivelando cosi che la sua forma non è perfetta­mente circolare. In origine la circonferenza era perfetta e la curvatura della volta più acuta ma nel corso dei restauri, al­lo scopo di rafforzarla, venne ad assumere la forma attuale. Non va dimenticato che Santa Sofia riportò seri danni in seguito a diversi terremoti e dovette essere riparata frequentemente.

Il primo grave danno lo subì nel 558. Nel gennaio 869, dopo che la terra ebbe a tremare per quaranta giorni, la cupola minacciò di crollare. Nel 986 parve dovesse crollare da un momento all’altro, tanto che la chiesa venne chiusa ai fedeli per dieci anni mentre furono messe in opera riparazioni costose al prezzo di diecimilla pezzi d’oro bizantini. In seguito fu riaperta al culto ma nel 1346 la volta cedette di nuovo e la mancanza di fondi impedì ogni restauro talché la chiesa rimase deserta. Un tempo, Santa Sofia possedeva moltissimi ornamenti di gran­de valore, porte rivestite di piastre d’argento, colonne di mar­mo raro cerchiate di fasce d’argento, preziose icone incornicia­te d’oro, massicci candelieri, calici e altri oggetti liturgici d’argento, candelabri d’oro, inginocchiatoi trapuntati con fili d’argento, paramenti da altare dello stesso materiale, tutti di una abbagliante ricchezza. La peggiore distruzione di questi rari oggetti avvennu durante i saccheggi della quarta crociata, quando i Latini devastarono la città. I fasciamenti di marmo dell’interno, le cornici d’oro e d’argento, le porte e le altre parti dei santuario furono rimossi e i metalli preziosi vennero fusi. Ben di rado ci fu sciagura che eguagliasse questo saccheggio dei Crociati nell’anno 1204!

Un prete russo, visitando Bisanzio nel 1350, descrive i segni spaventosi di distruzione che vide nella città saccheggia­ta.

L’ambasciatore castigliano Don Clavijo riferisce che, attra­versando la città nel 1402, vide le porte della basilica dissacra­ta che giacevano abbandonate per terra.

Quando presero Costantinopoli nel 1453, i Turchi trovarono Santa Sofia in queste condizioni. Il Sultano Fatih il Conquista­tore converti l’antico santuario in una moschea e fu il prime a pronunciarvi la rituale preghiera del fedele. Dapprima alla moschea fu aggiunto un minareto di legno, poi sostituito da uno di pietra. L’edificio fu rafforzato con sostegni e un «mihrab» fu consacrato all’interno. Beyazit. Il, figlio di Maometto II il Con­quistatore, aggiunse un secondo minareto alla moschea di San­ta Sofia.

Sotto il regno di Selim II, il Conquistatore di Cipro, fu notato qualche cedimento delle fondamenta; alcuni edifici nelle vici­nanze dovettero essere demoliti e le pietre servirono a innal­zare sostegni piramidali per le mura della moschea mentre si presero i primi provvedimenti per preservare l’impareggiabile cupola. L’opera di restaurazione fu intrapresa dal grande architetto Sinan. Lo stesso Sultano aveva eretto una scuola e un mausoleo; un giardino fu tracciato nei recinti di Santa Sofia.

I Sultani Selim I e Murad III aggiunsero due altri minareti; nel 1717 Ahmet II portò avanti le riparazioni fondamentali alla moschea.

Fu fra il 1847 e il 1849, nell’era Osmanli, che vennero eseguiti importanti restauri sotto la direzione dell’architetto svizzero Gaspar Fossati che rafforzò la cupola con una strut­tura di ferro e protesse i mosaici dall’umidità coprendoli con un leggero strato di calce, con ciò anche osservando le do­vute forme prescritte dalla religione musulmana. Consolidò, inoltre, le colonne.

Su iniziativa del Grand Resit Pascià, l’organizzatore di questi importanti restauri, fu stanziata una somma di due­centomila lire turche d’oro (corrispondenti a 1.5 Milione USD d’oggi) per l’impresa gigantesca.

Nel 1895, un terremoto causò qualche danno alla moschea che fu riparata due anni dopo.

 

Il fondatore della Repubblica Turca, Ataturk, un uomo di genio, eccelso fra gli statisti e profondo umanista, tolse a Santa Sofia il suo carattere religioso trasformandola in un museo nel 1935, mettendola perciò al servizio di tutta l’umanità. Dal 1926 professori universitari di larga fama diressero una radicale e razionale restaurazione dell’edificio; la cupola fu ancora una volta rinforzata, con cerchioni di acciaio, e gli effetti dell’umidità furono cancellati.

Nel 1931 l’Associazione Americana per la Tutela dei Mo­numenti Bizantini intraprese l’opera di pulizia dei mosaici, e dal 1955, grazie a fondi assegnati per questo scopo, Ayasofya è sempre stata tenuta sotto ispezione e restaurata a ogni occorrenza.

Guardiamoci attorno, adesso, mettendo da parte per il nomento le memorie che questa famosa cupola ha evocato… Pensiamo alla storia di Efeso, Baalbek, Eliopoli, con i loro marmi verdi e rossi che si levano ora attorno a noi lungo le colonne bizantine, con le foglie di acanto che sembrano muo­versi in alto e che ostentano i monogrammi reali di Giustiniano e Teodora! Affacciandoci, all’ingresso di ciò che fu un santua­rio, vediamo il «mihrab» turco che ha sostituito l’antica absi­de. Le immense cornici circolari che sono sospese in alto sopra di noi, al livello della galleria superiore, risalgono al periodo Osmanli(Ottomano) e comprendono nei loro cerchi verdi i nomi santi di Dio, del profeta Maometto e dei Califfi, tracciati in caratteri d’oro; un ricordo dell’estinta era degli Ottomani.

Il Pulpito («Minber»), vicino alla «mihrab», è di pietra squisitamente cesellata; un delicato esemplare di scultura turca. I pannelli di vetro alle finestre sono opera di artisti turchi. Alla nostra destra, guardando la «mihrab», c’è una profusione di decorazioni; è da quel punto che il Sultano presenziava alle funzioni religiose. Anche quella parte fu restaurata nel 1847 dall’architetto svizzero Fossati.

Sull’estremità dell’ala occidentale si può ancora vedere il luogo dove prendevano posto gli imperatori bizantini. In quello stesso punto si innalza quella colonna al cui proposito certe guide, durante le visite turistiche, riferiscono una abusata leggenda allo scopo di screditare i Turchi. Si narra che il giovane Fatih II, irrompendo nella chiesa a cavallo e schiacciando nel suo passaggio i feriti che vi si erano rifugiati, compresse la palma della sua mano contro la cima della colon­na lasciandovi così la sua impronta… Al fine di perpetuare il suo nome, Fatih Mehmet, poeta e patrono delle scienze, non aveva certo bisogno di lasciare l’impronta della sua mano su di un blocco di pietra. Innumerevoli argomenti potrebbero tro­varsi per confutare questa assurda fantasticheria, a cominciare dal fatto che un punto così alto della colonna non poteva es­sere raggiunto da cavallo e forse non sarebbe stato possibile neppure dalla groppa di un elefante!

Nella chiesa di Theodokos, a Palazzo Blacherna, c’era l’impronta di una mano che per tradizione popolare si vuole essere quella della Vergine Maria. L’orma però avrebbe potuto rimanere impressa sulla colonna quando la chiesa bruciò nel 1432 e da allora non più cancellata. Che bisogno c’era di falsificare i fatti e tentare di cambiare l’origine dell’impronta. Comprovate, del resto, sono la tolleranza religiosa di Fatih e la sua larghezza di vedute in opere tuttora esistenti come il Patriarcato Greco di Istanbul, per esempio.

Il giocare con la storia fino a falsificare l’identità di persone, della loro religione e nazionalità, nel tentativo di screditare il Conquistatore, è un procedimento tanto stupido quanto futile, del tutto incompatibile con la maestosità di Aya Sofya. Di queste vane dicerie ne esistono molte, come ad esempio la storia del prete officiante che si pretende fosse passato attraverso una porta di bronzo chiusa a chiave, nella galleria superiore, durante l’attacco alla città delle truppe del Conquistatore.

Abbandoniamo queste noiose invenzioni e proseguiamo la nostra visita.

Per vedere le gallerie superiori dobbiamo ritornare nel Narthex interno. Ci sono due enormi vasi di marmo, uno per lato del grande portale. Furono trasportati da Pergamo per ordine di Murad III e sono del periodo ellenistico.

Lungo il Narthex interno, sul lato sud dell’edificio, si trova una fila di portali nel muro laterale ognuno dei quali dà accesso al Narthex esterno. L’ingresso alle cerimonie in Santa Sofia era da questa parte. Ci sono ancora tracce di bronzo sulle porte, un tempo placcate d’argento dorato; i loro cardini sono ancora quelli originali. Da questo punto si raggiungono l’Atrio e i giardini e qui si possono vedere le fondamenta della prima Santa Sofia. Girando a destra, arriviamo alle gallerie del Narthex interno, fino in fondo. Un passaggio in salita, senza scalini, ci conduce di sopra. Era stato così concepito affinché I’imperatore potesse usare la sua carrozza senza andare a piedi. In origine i passaggi erano quattro; uno fu chiuso e sostituito con un pilastro eretto per sostenere gli altri tre. Oggi è usato solo quello situato all’angolo nord del Narthex interno, ma al visitatore potrebbe far piacere cono­scere l’esistenza degli altri.

La galleria superiore corre lungo tre muri dell’edificio:

quelli di nord, sud est; la facciata ovest è un muro semplice, senza gallerie.

Ci sono due porte nella galleria sud; si ritiene che una conduca al Cielo e l’altra all’Inferno. Dopo aver attraversato uno spazio vuoto, giungiamo a una porta sulla destra che immette in una cappella, il punto esatto dove il prete officiante di cui si è prima parlato era scomparso. Di qui raggiungiamo la stanza dove il consiglio usava riunirsi. Vi si notano delie crepe ma non c’è pericolo.

Dal muro sulla destra i mosaici più stupendi di Santa Sofia accolgono il nostro sguardo ammirato. Voltiamoci a contemplare questa meraviglia, uno dei più pregiati esemplari esistenti di mosaico bizantino. Vi è ritratto Gesù, ma non con quell’espressione di morte tramandataci dalle raffigurazioni medioevali, bensì pieno di vita e raggiante di salute. Maria e San Giovanni stanno ai suoi fianchi.

Di fronte, alla base del muro, c’è la tomba di Dandolo, colui che rivolse contro i Bizantini la Crociata diretta a Gerusalemme e perciò il responsabile del saccheggio della città nel 1204. Ora la tomba è vuota. Si racconta che la tra­slazione dei resti avvenne al tempo in cui il pittore Bellini la­vorava in Santa Sofia agli ordini di Maometto II il Conquista­tore.

L’angolo in fondo a sud era riservato in particolare all’ imperatore; vi si notano due pregiati mosaici. Su di un lato c’è Maria che sostiene Gesù sul suo seno, affiancata da Giovanni Comneno e da sua moglie Irene; nell’angolo del muro è raffigurato il loro figlio Alessio che morì prima del padre. Sull’altro lato, la figura centrale del mosaico è Gesù incoronato, in mezzo all’imperatrice Zoe (1028-1050) e al suo terzo marito Costantino Monumachas.

Se guardiamo in basso, abbiamo una vista più ravvicinata dei mosaici di Gesù e Maria nell’abside, mentre sopra di noi, fra le cupole, si possono ammirare due mosaici che rappre­sentano gli angeli.

Sul muro nord, di contro e sopra la galleria superiore, ci sono altri mosaici dove sono rappresentati il patriarca Ignazio, San Giovanni Crisostomo e, vestito di bianco, il succitato patriarca di Costantinopoli.

Il lato occidentale della galleria era riservato alle donne.

Sul suo soffitto i mosaici sono di due tipi; uno ornamen­tale, che è del sesto secolo; l’altro, molto stinto per i molti anni trascorsi, che raffigura i lineamenti di coloro che si opposero al movimento iconoclasta. Si riconosce ancora una volta l’immagine di Costantino il Grande. Sopra la porta d’in­gresso, Gesù siede in trono avendo alla sua destra la madre Maria. Si tratta di un’esecuzione piuttosto rozza del nono se­colo, quando l’arte della raffigurazione non era ancora alta­mente sviluppata. Alcuni vecchi mosaici di un disegno simile hanno sofferto cancellature deturpanti delle croci e dei linea­menti umani, danni attribuiti agli iconoclasti.

La piazza antistante Santa Sofia (Aya Sofya) è stata pro­tagonista dei più gravi tumulti della nostra storia, scena di tragici eventi che funestarono i regni dei primi Sultani. La strada che conduce a destra, verso il centro della città, è una delle più antiche arterie di Istanbul.

Prima di immetterci in questo viale, entriamo nel recinto della Moschea Azzurra, che ci è di fronte, e che costituisce il secondo grande capolavoro sulla piazza. Vedremo dapprima l’Ippodromo e i monumenti nelle sue immediate vicinanze.

Fontana Tedesca-Alman Çeşmesi

 

 

La prima cosa a colpirci è la fontana a cupola in stile orientale, nota come la Fontana Tedesca (o; più esplicitamente, la Fontana del Kaiser Guglielmo II). Fu progettata e costruita dal Kaiser per commemorare la sua visita di Stato all’Impero

Ottomano è dedicata a Istanbul in ricordo del suo passaggio per la città. Fu iniziata nei 1895 e finita nel 1898. Le sue colonne di marmo colorato e i suoi vari ornamenti sono di una abba­gliante sontuosità. L’interno della cupola è interamente coperto di dorature e mosaici che gli conferiscono un effetto di notevole lucentezza.

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