Antico Ippodromo di Costantinopoli- Migliore Guida

Di fronte a noi si stende ora l’Ippodromo, la piazza più famosa ai tempi bizantini. Vi ebbero luogo corse di cavalli, adunate di cocchi, premiazioni, incontri di lotta e ogni specie di competizioni sportive. Il suo disegno fu ispirato da quello del Circo Massimo a Roma, costruito dall’imperatore Settimio Severo nel 203.

Costantino il Grande ampliò l’Ippodromo dandogli le sue definitive dimensioni. Scavi eseguiti sul luogo rivelano che era largo 117 metri e lungo circa 500. Era circondato da alti muri in cui si aprivano le numerose porte di accesso.

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Dirigendoci verso l’estremità nord della piazza, oltre la Fontana di Guglielmo II, che prima era il luogo del «Kathisma», l’ingresso alla pista delle corse, vediamo un obelisco coperto di geroglifici; a oriente di questo sorgeva il palco imperiale dove l’imperatore, circondato dai notabili della Corte e dai dignitari dello Stato, veniva a presiedere ai giuochi che sole­vano durare tutto il giorno e talvolta anche più a lungo. Il palco, perciò, era come un palazzo in miniatura, composto da una sala da pranzo, una sala da ricevimento e una stanza da letto. Esso comunicava direttamente con il palazzo imperiale ma non era collegato affatto con le gradinate del pubblico e con la stessa arena. Ricordando quanti subbugli e rivolte scoppiarono in questo Ippodromo e quante sanguinose guerre civili, ben si comprenderà che queste misure precauzionali erano più che giustificate: davano modo all’imperatore di ri­tirarsi facilmente all’interno del suo palazzo e rifugiarvicisi, ben fuori tiro della plebaglia.

Un poco sotto il padiglione imperiale c’era uno spazio riservato alle guardie e ai musici dell’imperatore.

«Spina», una pista che divideva l’arena come una linea media­na per tutta la sua lunghezza.

I cocchi da corsa entravano nell’Ippodromo passando per il «Kathisma». All’inizio della gara si lanciavano lungo la di pensare alle cricche, congiure, sedizioni e fazioni che ebbero grande influenza sul destino dell’Impero e alle sanguinose vicissitudini che ne seguirono e che possono così riassumersi :

C’erano quattro gruppi rivali, i Verdi, gli Azzurri, i Rossi e i Bianchi, che simboleggiavano rispettivamente la Terra, il Mare, il Fuoco e l’Aria, concetti derivati da fonti mitologiche. Talvolta i Rossi e i Bianchi si fondevano riducendo le fazioni a tre in tutto. La gente, dal canto suo, sosteneva or l’una or l’altra di queste fazioni a seconda degli allineamenti assunti dalla propria, mentre gli imperatori sostenevano or l’una or l’altra fazione a seconda dei loro interessi. Michele III, infatti, si presentò nell’arena vestito nei colori del gruppo che pa­trocinava e prese parte di persona alle gare dei cocchi. Nessuna competizione poteva aver luogo in assenza di uno dei questi gruppi. Gli Azzurri occupavano la parte destra dello stadio e i Verdi la sinistra. Numerose rivolte e insurrezioni cominciarono sotto il pretesto di queste manifestazioni. La ribellione del 532, che scosse il trono di Giustiniano, esplose in questa arena dove quarantamila persone furono passate a fil di spada da Belisario che aveva circondato il luogo. I cadaveri furono raccolti e appilati accanto a una delle porte dell’ippodromo che da allora passò alla storia come la «Porta dei Morti».

Prima che lo stadio diventasse scena di tali olocausti e sanguinosi drammi, di tempo in tempo vi si esibivano gli artisti quasi a sorridere al cospetto dell’umanità dilacerata dall’odio.

Come gli altri stadi antichi, l’Ippodromo aveva le sue due colonne o idoli che venivano adorati con i nomi di Sole e Luna. Non si sa che cosa sia successo di quelle stele.

Costantino il Grande, Imperatore di Roma, nel corso di ampliamenti all’Ippodromo lo dotò di varie opere d’arte. Statue vi furono trasferite da Siracusa e da Alessandria. Le province anteriormente annesse all’Impero Romano mandarono gli esemplari più belli di antichità insieme a grandi opere d’arte prodotte dalla cultura cristiana che da poco si era ampiamente diffusa nei loro territori. Gli Imperatori Romani Augusto, Dioc­leziano, Valentino e Teodosio mandarono statue di Rornolo e Remo, i leggendari fondatori di Roma, di Ercole, di Adamo ed Èva considerati un dio e una dea; statue scolpite in marmo e bronzo e ricoperte d’oro per dare loro maggiore imponenza ed effetto.

 

Ma le più spettacolari opere d’arte che abbellivano l’Ippodromo erano quattro statue di cavalli in rame, placcate d’oro e d’argento. Erano state prese a Corinto e poste come ornamento sull’Arco Trionfale costruito da Nerone a Roma, o, secondo un’altra versione, trovate a Chio e acquistate dai Bizantini.

Crociati che espugnarono Costantinopoli nel 1204 non lasciarono pietra su pietra. I Latini trasportarono i cavalli a Venezia dove furono installati davanti alla Chiesa di S. Marco. Napoleone, a sua volta, durante la sua invasione dell’Italia nel 1797, s’impossessò delle statue e le mandò a Parigi come bottino di guerra collocandole sopra l’Arco Trionfale di Carousel. Nel 1815 le statue tornarono al loro posto a Venezia.

 

(Considerando che la Conquista – uno dei periodi più felici della storia umana – è ormai un tetto del passato, c’è da supporre che d’ora innanzi le statue resteranno al posto in cui ora si trovano.)

 

Con il crollo dei Latini, la potenza di Bisanzio così come la dovizia e la magnificenza del suo Ippodromo finirono. Le statue che ornavano la piazza vennero fuse e convertite in lingotti di metallo.

Quando i Turchi presero la città nel 1453 la trovarono pressoché in rovina.

L’Ippodromo servì ai Conquistatori da spianata destinata allo sport del lancio del giavellotto da cavallo. Nel corso degli anni, il livello del terreno salì di quattro metri. Il perimetro dello stadio fu convertito in un giardino piacevolmente ombreggiato. Sotto Solimano il Legislatore, il Gran Visir del tempo, İbrahim Pascià, vi fece costruire un palazzo le cui fondamenta sono ancora visibili. Una parte dell’Ippodromo, quella che si affaccia sul mare, venne assegnata alla Moschea Blu; sul lato meridionale fu edificata la Scuola di Alti Studi Economici e l’edificio riservato all’Amministrazione dei Titoli.

 

 

L’obelisco di Teodosio

Al centro dell’Ippodromo sorge la colonna coperta di geroglifici che fu portata dal tempio di Karnak in Egitto.

In origine la colonna era stata eretta a un lato del portone del tempio; nel 390 d.C., sotto l’imperatore Teodosio I, il go­vernatore romano di Alessandria la mandò a Bisanzio.

Il monumento è costituito di due parti; l’obelisco di pietra, che è egiziano, e un basamento bizantino. La colonna poggia su quattro piedistalli di bronzo infissi nei basamento e l’altezza totale è di metri 25,60.

E’ meraviglioso riferire che la colonna di porfido ha conservato nitidamente tutte le sue iscrizioni durante i 3.400 anni della sua esistenza. Sui quattro lati si vede il dio Ammone che guida un Faraone tenendolo per mano. Le iscrizioni im­portanti sono sul lato orientale (di fronte alla Moschea Blu) e da esse apprendiamo che il Faraone Tuthmosis III aveva posto queste colonne su entrambi i Iati del tempio di Karnak in onore di suo fratello Amon-Ra.

La facciata meridionale del monumento ricorda, per la fruizione della posterità, i massacri che egli ordinò nel corso della sua trionfante avanzata verso l’Eufrate.

Dopo l’erezione della colonna, il basamento fu ornato di iscrizioni e bassorilievi. Oltre alle iscrizioni latine c’è una frase in greco. I principali bassorilievi rappresentano l’imperatore Teodosio con la sua famiglia e le guardie personali mentre incorona i vincitori dei giuochi ippici. E’ attorniato da danza­tori e da un’orchestra di flautisti fra cui il dio Pon. Sulla facciata meridionale della colonna l’imperatore è raffigurato in mezzo alla sua famiglia mentre distribuisce premi ai vincitori.

 

La Colonna di Costantino Porfirogènito

L’altra colonna della piazza è notevole perché sostiene il monumento di Costantino V Porfirogènito. Si suppone avesse segnato la linea di demarcazione che sépara la pista dietro allo stadio; fatta di un monolito calcareo, è formata da un solo blocco di pietra, coperto in origine di bronzo le cui tracce si possono ancora distinguere. La data esatta non è nota ma si ritiene appartenesse al sesto secolo. Vi sono incisi versi greci che esaltano le bellezze del Colosso di Rodi e auspicano di superarle. La fasciatura di bronzo fu asportata, fusa e convertita in moneta dopo l’invasione dei Franchi. Si dice che fosse posta una fontana su ciascuno dei quattro angoli del basamento. Il rilievo dal quale la colonna si erge ci dà l’ap­prossimato livello dell’antico Ippodromo.

 

La Colonna Serpentina

Fra i due obelischi sopra descritti ce n’è un terzo, coperto di verderame e contorto come una fune, che è una delle più pregiate opere d’arte antiche di Istanbul. L’ubicazione origi­naria della colonna, che rimase sepolta sotterra fino alla sua scoperta nel 1856, ci è sconosciuta. L’inglese Newton, che per primo condusse scavi in quel punto, trovò delle iscrizioni in greco che gli permisero di ricostruire la storia della colonna.

Dopo la loro grande vittoria sui Persiani a Salamina, i Greci eressero questa colonna a Delfo, nel tempio di Apollo, per commemorare il loro trionfo, per il quale era stata portata in parata in trentun città greche. Fu successivamente tra­sportata all’Ippodromo di Costantino il Grande, o così si suppone. Tre serpenti di bronzo intrecciati salgono dal basa­mento triangolare e si avvolgono a spirale attorno alla colonna superandola in altezza, con le teste protese, di cinque o sei metri, per sostenere un ampio tripode d’oro e aggiungendo alla composizione architettonica tre metri in altezza. Il tripode è sormontato da un vaso d’oro.

Visitatori giunti a Istanbul sia prima che dopo la presa della città da parte dei Turchi hanno diffusamente descritto questo vaso tracciandone schizzi interessanti. Ahimè! Nel 1700 la colonna crollò; le teste dei serpenti furono danneggiate e successivamente scomparvero, insieme al vaso e al tripode. Di essi s’è perduta ogni traccia.

Abbiamo ora davanti la famosa «Moschea Blu».

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