San Salvatore in Chora-Mosaici, Ingresso, Mappa, Migliore Guida

 

Il significato del nome Chora(in turco:Kariye Müzesi), sotto il quale è chiamato questo monumento d’una bellezza straordinaria, è difficile a determinare. Secondo l’ipotesi prevalente, il nome di «Chora» deriverebbe dal greco, «fuori della cittadella», «in aperta campagna». Essendo il convento sorto fuori dalle mura della città di Bisanzio, all’epoca della sua costruzione, il terrone potrebbe essere interpretato, alludendo a questa particolarità topografica.

Parallelamente, esistono tuttavia altre interpretazioni. Il termine di «Chora» significherebbe ugualmento in greco a «ventre, basso ventre». Essendo il Cristo come il «frutto del ventre» di Maria, si è potuto avanzare l’ipotesi che la chiesa debba il suo nome alludendo «al ventre» della Madonna.

Gli scritti dell’imperatore Giovanni VI Cantacuseno (1341 – 1355), eminente storico, sembrano confermare questa ultima ipotesi. Citando il suddetto convento, egli usa l’espressione di «Chora, dove s’incarna il Cristo, il Salvatore, l’Incommensura­bile».

A sostegno di questa tesi conviene citare anche che il mosaico più importante della chiesa rappresenta la Vergine e porta la seguente iscrizione: «Luogo dell’incarnazione di Dio incommensurabile».

Il convento sarebbe dunque stato dedicato originariamen­te alla Vergine, se si accetta l’interpretazione, in senso figurato, del termine «Chora» come «ventre» basso ventre».

Il museo è attualmente conosciuto sotto il nome turco di «Kariye Camii» (Moschea di Chora), nome che risale all’epoca in cui lì monumento servi da moschea.

Contenuti

Orarı di Ingresso

 

Estate: 1 aprile – 31 ottobre, aperto tutti i giorni dalle 9:00 alle 19:00.

Inverno: 1 novembre – 31 marzo, aperto tutti i giorni dalle 9:00 alle 17:00.

Ultimo ingresso e chiusura della biglietteria: 30 minuti prima dell’orario di chiusura.

Il museo apre nel pomeriggio il primo giorno delle festività religiose.

Prezzo del biglietto: 54 TL
Bambini fino a 8 anni: gratuito.
Istanbul Museum Pass non è valido qui.

Istanbul Museum Pass – Ingresso ai musei e moschee

Le origini

 

Non si è potuto determinare con precisione l’epoca della primitiva costruzione. Un primo edificio di aspetto e proporzioni modeste è stato presumibilmente eretto, all’epoca di Costan­tino, lontano dalle mura della città. I bizantini non avrebbero tollerato, in effetti, la costruzione dell’edificio su dei terrapieni in prossimità immediata delle mura, proprio per non offrire ad un assediarne la possibilità di rifugiarvisi o di tenere delle imboscate.

Pare dunque stabilito che la costruzione del convento sia anteriore all’anno 413, data della erezione della nuova cinta di mura intorno alla città, sotto Teodosio II (408-450). Certi storici credono, tuttavia, che il monumento risalga al periodo giusti­nianeo (527-565) Si sa, infatti, che questo imperatore ha dovuto almeno far eseguire dei lavori di restauro. Come si sa pure che Tecdoro, zio dela sposa di Giustiniano, in cerca di un convento che gli permettesse di stabilirsi a Bisanzio, trovò sullo stesso posto una chiesa modesta così come un presbiterio e una fon­tana d’acqua potabile, Colà egli fece erigere in seguito un con­vento. Questo primitivo edificio crollò a causa d’un violento sisma nell’anno 557; poi fu riedificato da Giustiniano.

 

Certi storici dell’arte, parti colarmlente scrupolosi, dubitano di questa versione, appoggiandosi sul fatto che Procopio, autore di un’opera nella quale vengono recensiti i lavori eseguiti da Giustiniano, non menziona in nessuna parte la costruzione di questa chiesa e, d’altra parte, dubitano che una imperatrice come Teodora i cui inizi furono quelli di una danzatrice di stra­da, non potesse contare su uno zio suscettibile di consacrarla comandante dell’armata.

E’ molto verosimile, tuttavia, che il convento di Chora non abbia acquistato sufficientemente importanza all’epoca di Giustiniano, per bloccare l’attenzione dei contemporanei.

Chora farà la sua entrata nella storia nelI’VIII secolo. Delle personalità notevoli vi furono sepolti nel corso delI’VIII e IX secoli, Michele Synkellus fu l’ospite del convento quando ebbe rapporti con Leone V (813-820) a proposito dell’iconoclastia.

Dopo il IX secolo Chora disparve dalla scena della storia per ben due secoli.

Note Storiche

E’ noto che il monumento ha subito molteplici lavori di restauro nel corso dei secoli che seguirono il regno di Giustinia­no, Il convento, caduto completamente in rovina nel corso dell’XI secolo, fu ricostruito nella sua quasi totalità per ordine di Maria Dukaena, la suocera d’Alessio Comneno (1081-1113). Degli scavi recenti hanno permesso di rilevare che il figlio di Alessio I, Isacco Comneno (Sebastocrator) aveva a sua volta intrapreso la costruzione di un edificio intieramente nuovo ver­so l’anno 1120.

Il convento fu seriamente danneggiato durante la conquista della città di Costantinopoli il 13 aprile 1204 da parte del doge veneziano Enrico Dandolo e dalla sua armata crociata che ave­va fermato la sua avanzata su Gerusalemme, sotto pretesto di mettere fine alle lotte intestine che infestavano le città genovesi e veneziane.

Il convento cadde nelle mani di Michele Paleologo VIII (1261-1282) al momento della riconquista della città da parte sua. Ma è soprattutto sotto il regno di Andronico Paleologo II che il santuario conobbe un’epoca di splendore e di prosperità, grazie a Teodoro Metochita, uomo di stato e storico insigne. Questo saggio uomo politico si era messo in testa di restaurare il convento e l’aveva fatto ornare di magnifici mosaici. E’ quindi a lui soprattutto, a questo uomo, intenditore emerito, che noi dobbiamo il convento di Chora, vero tesoro d’arte per la sua graziosa architettura, la ricchezza e 1o splendore dei suoi mosaici, tali e quali si possono ammirare pure oggi.

L’esistenza di Metochita non si compì tuttavia nella calma e nella serenità. La carriera di politico, che egli aveva abbrac­ciato, gli valse, malauguratamente, un tragico rovescio di for­tuna alia fine dei suoi giorni.

Teodoro Metochita nacque a Costantinopoli, Fece degli studi di letteratura e di scienze politiche a Costantinopoli. Uomo di lettere, di bella presenza, fu anche un eccellente retore e un grande intenditore d’arte.

Costretto a vivere alla corte a motivo degli affari di stato, egli si immergeva la sera, appena rientrato nel suo palazzo, nella lettura di opere scientifiche o letterarie. Egli aveva ugual­mente acquisito solide conoscenze nelle discipline mate­matiche e nell’astronomia. Uomo di stato accorto, fece brillan­temente il suo debutto nella carriera politica e seppe così ocnquistarsi la fiducia e l’amicizia del basileus ormai vecchio, Andronico II, di cui egli fu il consigliere per vent’anni circa.

Numerosi storici vedono in lui un grande umanista, un uomo di lettere di capitale importanza, il più grande scrittore del XIV secolo. L’immensa fortuna che questo uomo integerrimo aveva accumulato nel corso della lunga e brillante carriera gli permise di farsi costruire un palazzo in prossimità del convento di Chora che egli prediligeva molto.

Il matrimonio della figlia con il nipote dell’imperatore accrebbe ancor di più il favore di cui godeva presso di lui e lo avvicinò per ciò stesso alla successione al trono. Tanta prosperità e tanta potenza non potevano non suscitare malu­mori. L’opinione pubblica s’impadronì di Metochita e della sua fortuna. Egli, tuttavia, non avendo alcun rimprovero da farsi, non diede eccessiva importanza.

Una grave crisi di stato mise però fine alla brillante carriera di Teodoro Metochita. Le diatribe che opponevano tra il 1321 e 1328 Andronico I, ormai vecchio, al suo nipote, il futuro Andro­nico III, degenerarono in guerre civili. Invano Metochita si sfor­zò di riconciliare le due parti.

Non diede seguito agli appelli del nipote ambizioso d’Andronico II e non si allineò per nulla dalla parte del nipote. Quando scoppiò una rivolta in città, egli rimise una parte dei suoi beni ad alcuni amici, lasciò il palazzo e si rifugiò nel palazzo di Andronico II.

Quando l’armata di Andronico II, rafforzata da truppe ot­tomane, fu vinta a Silivri nel 1327 e il suo nipote fece la entrata da vincitore a Costantinopoli, Metochita fu destituito dalle sue funzioni. Il suo palazzo fu saccheggiato e poi incendiato, i suoi beni che aveva confidato agli amici, gli furono confiscati. Egli stesso, fu torturato e poi esiliato a Dimotiki.

Visse colà gravemente debole di salute, poi gli fu accordata l’autorizzazione di ritornare a Costantinopoli, dove non trovò nessun luogo dove poter esser accolto, dal momento che i suoi figli nel frattempo erano espatriati. Non ebbe altra scelta che ritirarsi nel suo convento molto amato.

Vi menò un’esistenza da monaco. Questi luoghi che una volta l’avevano visto frequentare riccamente vestito e abbigliato,circondato di numeroso seguito, lo videro ormai menare un’esistenza da vecchio malato e solitario, dalla saggezza ama­ra, umile servitore di Dio.

Morì nel 1329, un mese dopo il suo vecchio amico, l’impe­ratore Andronico II. Fu sepolto davanti all’entrata, all’Interno del convento, come aveva desiderato nel suo testamento, e la sua tomba fu ricoperta di una lastra di marmo.

Altri uomini di stato, caduti in disgrazia, avevano trovato rifugio nel convento. Di alcuni vi fu anche la sepoltura, così come il Patriarca Germano (715-730) all’epoca di Leone III l’Isaurico (717-741), il patriarca Kiros all’epoca dell’imperatore Costantino Copronimo (741-755) e lo storico Niceforo Gregoras (1295-1360) che vi fu per lungo tempo tenuto prigioniero, duran­te il periodo di Giovanni Cantacuzeno VI.

Secondo ogni verosimiglianza il convento serviva da chiesa per il palazzo di Costantino Porfiriogenito (913-959), l’odierno Tekfur Saray, situato un po’ distante.

All’epoca di Manuele Comneno, gli imperatori bizantini abbandonarono il Palazzo sacro (l’odierno Palazzo di Marmara) per eleggere a residenza il Palazzo di Blacherne, in prossimità del convento di Chora. L’importanza del convento crebbe note­volmente.

E’ là che furono celebrate le funzioni per la processione del 28 luglio, durante la quale, partendo dal palazzo si visitava l’immagine celebre della Vergine di San Luca (Hodeghetria) ivi conservata. In occasione delle processioni pasquali l’immagine benedetta lasciava il convento. Essa veniva portata nel palazzo dell’imperatore, poi ricondotta al convento alla fine della ceri­monia.

L’imperatore assisteva regolarmente a tutte le cerimonie, mentre una folla immensa premeva in quei giorni intorno al convento. Quando la città fu assediata dai Turchi, il patriarca della città vi aveva deposto l’icone della Vergine Hodegetria nella speranza che la presenza dell’immagine santa nel San­tuario più prossimo alle mura della città avrebbe contribuito alla salvezza di Costantinopoli. Quando la città fu presa, l’icone disparve.

Saltanto nel 1511, molto dopo la presa della città da parte dei Turchi, la chiesa fu trasformata in moschea. La trasforma­zione della Chiesa in moschea fu fatta sotto l’ordine di Hadim

Ali Pascià, grand vizir di Beyazit II il quale cadde lo stesso anno nella battaglia. Quella che fece costruire a sue spese, la Moschea di Atik Ali Pascià, edificio di stile classico turco è situato in faccia della colonna bruciata.

Pietro Gyllius fu il primo storico a esplorare la chiesa dopo la conquista turca di Costantinopoli e a citarla nei suoi scritti. Nella sua opera, redatta in lingua latina .egli cita i rivestimenti di marmo, ma non fa alcuna allusione nè ai mosaici nè agli affreschi di cui solamente una parte erano stati ricoperti di legno dopo la trasformazione della chiesa in moschea.

I rivestimenti in legno sono stati ritirati dopo quest’epoca come lo confermano dei visitatori cristiani che erano stati autorizzati a entrarvi. In particolare il turista Dallaway che aveva visitato la moschea di Chora verso la fine del XVIII se­colo afferma che i mosaici non erano stati ricoperti, nonostan­te che l’edificio servisse da moschea. La sua testimonianza sembra degna di fede anche se la descrizione contiene un grave errore, dal momento che affibbia al benefattore della chiesa, Teodoro Metochita, il titolo di imperatore.

Un turista inglese che aveva visitato la chiesa agli inizi del secolo in compagnia di un capo islamico (imam), evoca nei suoi ricordi il piacere che aveva provato a conversare con l’imam e a contemplare gli affreschi e i mosaici della chiesa dove non si sentiva per nulla spaesato. Un altro testimone dice di aver visitato i mosaici in compagnia dell’imam turco che aveva qualche nozione di francese.

Gli edifici conventuali sconsacrati dall’epoca ottomana si deteriorarono fino a sparire completamente. La chiesa, per il fatto che fu convertita in moschea, fu conservala. Lavori di restauro vi furono eseguiti, in particolare dopo il terremoto del 1766, quando la cupola della chiesa-moschea crollò e la chiesa subì notevoli danni. A quest’epoca nuovi padiglioni furono creati. L’eunuco Haci BeŞir Aga, morto nel 1746, fondatore di numerose istituzioni di beneficenza, vi aveva aggiunto una scuola e delle cucine popolari.

Nel cortile delle cucine popolari dove veniva ospitata nella prima metà del nostro secolo una scuola coranica, si innalzava il mausoleo d’Ebu-Said-Hadri che è riconosciuto come uno dei discepoli del profeta.

Si può oggi scoprire il Mausoleo all’ala sinistra della chiesa, per chi guarda la facciata. E la fontana che si eleva a sinistra della porta d’entrata risale al 16S9.

Caratteristiche architetturali

Si pensa che il primo edificio si riducesse a un nartece e all’abside. Il parecclesion, Il battistero e le altre dipendenze culturali costituirono delle aggiunte create in seguito ai di­versi lavori di restauro e di rimaneggiamento.

Si nota poi che a partire da Giustiniano, il piano delle basiliche bizantine si differenzia molto nettamente da quello romano. Infatti alla pianta basilicale romana si sostituisce la pianta basilicale in forma di croce, a braccia uguali, sormon­tata d’una cupola centrale la quale a sua volta è fiancheggia­ta da cupole minori.

Metochita che conferì alla chiesa l’aspetto attuale non apportò d’altronde alcuna modificazione al piano di base dell’edificio centrale, ma si accontentò di aggiungervi dei corpi ausiliari. Secondo l’avviso di certi storici il parecclesion e l’esonartece sarebbero nati proprio così.

Le modifiche apportate alla chiesa durante l’epoca in cui la chiesa servì da moschea, consistono essenzialmente nell’ag­giunta di un minareto e di qualche annesso. Inoltre i vani aperti sul lato della facciata furono murati e gli affresci, come pure i mosaici furono ricoperti. Passarono i secoli, finché tra il 1948 e 1958 Thomas Whittemore e Paul Underwood, sotto il patro­nato del «Byzantine Institute Ine.» di Boston e del «Dumbarton Oaks Center for Byzantine Studies», intrapresero la pulizia e la restaurazione degli affreschi e dei mosaici che oggi possiamo ammirare in tutta la loro purezza e freschezza originali.

Il monumento è sormontato da sei cupole: due si elevano sopra il nartece interiore, coronate da finestre aperte e riposan­ti su tamburo, le altre due fiancheggiano l’abside, poi la cupola centrale, ugualmente munita di aperture e poggiante sul tam­buro, infine la cupola che corona il parecclesion, larga 4,50 m di diametro (è la seconda per importanza).

L’edificio copre una superficie di 27,5 x 27 m. La lunghezza del parecclesìon è di 29 m. L’abside mostra tre aperture. Si noterà con quale cura sono state scelte e sistemate le lastre di marmo multicolore che ornano i pannelli interiori della chiesa. Due porte, che si aprono nell’abside, danno l’accesso a due cappelle laterali sormontate ciascuna da una cupoletta. Esse servivano da battistero. La porta di comunicazione tra la navata e il nartece della chiesa è larga due metri. Questo nartece è largo quattro metri e lungo 18. Mentre la larghezza della porta che comunica con l’esonartece misura 1,70. Quest’ultimo mi­sura 4 iti di larghezza e 23,30 di lunghezza, tenendo conto del prolungamento dalla parte del parecclesion.

II muro che separava l’esonartece e donava nel pareccle­sion è stato soppresso e rimpiazzato da due colonne di sosteg­no. Lo stesso procedimento è stato usato a due riprese, nello stesso parecclesion. I vani costruiti nella facciata originaria­mente scendevano fino a terra, ma con la trasformazione del­la chiesa in moschea furono murati. Soltanto due aperture di dimensioni ridotte furono conservate nella parte centrale della facciata.

Oggi non rimane nessun resto della costruzione conven­tuale. Il monumento, come si presenta attualmente, è ridotto alla chiesa più gli annessi aggiuntisi nel corso dei secoli. La parte più antica dell’edificio sacro è quella costituita dalla na­vata centrale sormontata dalla cupola eretta nel 1120. Dagli scavi effettuati nel 1948 furono messi alla luce i resti della chiesa costruita nel 1080 per comando di Maria Dukaena, suocera di Alessio I Commeno. Lo strato inferiore nasconde resti di basamenti che non ci è permesso attribuire a una chiesa a motivo della loro forma.

Li parecclesìon e gli affreschi

Il parecclesìon (o cappella funeraria) si estende su tutta la lunghezza dell’edificio. Le sue colonne sono più slanciate, i ca­pitelli maggiormente lavorati. La parte centrale è sormontata da una cupola a aperture. I muri come la cupola sono adornati da affreschi che costituiscono una rara manifestazione dell’arte bizantina tramandataci fino ai nostri giorni. Questi affreschi, ultimi capolavori del rinascimento bizantino, sono contempora­nei a quelli di Giotto eseguiti nella cappella degli Scrovegni.

Non si conosce il nome dell’artista, autore di questo capo­lavoro. Qualcuno suggerisce che gli affreschi sono l’opera giovanile del medesimo artista che lavorò nella cattedrale di Novgorod (detta dell’ Annunciazione) nel 1373, il greco Teoforo. Ma questa è soltanto un’ipotesi. E’ certo invece che gli affreschi di San Salvatore in Kora, per la qualità artistica, la ricchezza di colori, l’ampiezza, l’arditezza delle immagini e il vigore del disegno non hanno nulla da invidiare alle opere di Giotto.

Gii affreschi del parecclesicn (cappella funeraria) :
  • Sul catino del bema: là risurrezione, ossia, in greco, anastasis. Ai piedi del Cristo, il diavolo vinto. Le porte dell’in­ferno sono state spezzate, chiavi e serrature giacciono sparse.
  • Il Cristo afferrando per la mano destra il pugno di Adamo, e per la mano sinistra quello di Èva, tira i due progenitori fuori dalle loro tombe (simbolo della redenzione e della risurre­zione).
  • A sinistra: i giusti dell’antico testamento: San Giovanni Battista, David, Salomone, Mosè e i profeti.
  • A destra: il primo martire Santo Stefano e gli apostoli, testimoni della risurrezione.
  • Nell’abside, in basso: sei padri della Chiesa e cioè, a destra: san Basilio, san Gregorio, il teologo, poi san Cirillo: a sinistra: san Giovanni Crisostomo, sant’Atanasio, mentre il terzo padre è praticamente scomparso.
  • Al centro dell’arco che sostiene la volta: il dipinto dell’ar­cangelo Michele, in un medaglione.
  • Il ritorno di Cristo, la fine del   mondo e il  giudizio universale.
  • Al centro della volta: la fine   del mondo  raffigurata dall’an­gelo che arrotola la pergamena della volta celeste.
  • In basso: il Cristo seduto sul trono di gloria. Alla destra di Cristo, Maria, madre di Dio; alla sua sinistra, san Giovanni Battista. Ai due Iati, sei apostoli, seduti sui troni dei giudici. Dietro loro, il coro degli angeli.
  • Al disotto di Cristo,l’altare circondato da cherubini sul quale sta il libro di vita (il vangelo).Ancor più sotto è rappresentato la bilancia che simboleggia il giudizio finale, quindi una scena durante la quale si pesano le azioni delle anime.
  • Le anime condannate sono condotte all’inferno, a sinistra, mentre il coro degli eletti si dirige verso destra, per raggiun­gere Abramo in paradiso.
  • Miracolo della risurrezione della figlia di Giairo .(cfr. Mt 9, 18-26; Me 5, 21-43; Le 8,40-56).
  • Resurrezione di Lazzaro a Befania.(cfr. Gv 11, 1-46)
  • Il seno di Àbramo, simbolo del regno celeste e della felicità eterna.
  • In basso: la Vergine con il Bambino, in piedi.
  • Nella nicchia funeraria, a destra, dalla parte dei coro: quattro personaggi che rappresentano verosimilmente i defunti colà sepolti.
  • Sull’arco: il Cristo in un medaglione, fiancheggiato da due angeli. Al disopra: a sinistra del Cristo, santa Flora, in un medaglione, e a destra, San Marco, ugualmente rappresen­tato in un medaglione.
  • San Giorgio in piedi, è dipinto senza cavallo.
  • Demetrio, santo e martire.
  • Teodoro, santo e martire.
  • Sulla nicchia funeraria, a destra, dalla parte del nartece: Michele Torniches e sua moglie Eugenia, monaca.
  • Sulla volta, in basso: al centro il Cristo accompagnato da due angeli.

In alto; su una cornice di pietre finemente cesellate, l’epi­gramma di Macarios ‘Torniches) e della moglie Eugenia.

  • A sinistra della nicchia: san Teodoro.
  • A destra della nicchia: san Mercurio.
  • Sulla parete, a lato: San Proto e san Saba, poi un terzo santo non identificato.
  • Ritratto di un santo non identificato.
  • Altro ritratto di santo non identificato.
  • Al disopra della nicchia funeraria, a sinistra, dal lato dell’ab side, san Bacco, ritratto in un medaglione. Mentre a destra della medesima nicchia, un santo non identificato, sempre in un medaglione. Il nome è illeggibile.
  • Sulla volta, al disopra della nicchia, dalla parte del nartece, a sinistra: il Cristo tra l’arcangelo Raffaele, a sinistra, e l’arcangelo Gabriele, a destra.
  • Ai due lati della nicchia: santi, i cui nomi sono illeggibili.
  • Un po’ più a sinistra: San Sansone.
  • Nell’angolo: san Mugrathe.
  • Al centro della cupola del parecclesion: la Vergine con il Bambino (notare che il bambino alza le braccia al cielo).
  • Tra le colonne della cupola: dodici angeli in rappresentan­za dei dodici cori angelici.
  • Sui quattro pendenti della cupola : dal lato dell’abside, a sinistra, San Giovanni Damasceno, a destra san Cosma, poeta e innografo; sul fondo, a sinistra, san Teofano, e a destra, san Giuseppe, poeta e innografo;
  • Sul timpano destro, dal lato del coro, Davide danza da­vanti all’arca; sul fondo, due personaggi trasportano gli oggetti del culto mentre l’Arca dell’alleanza è trasportata sul Monte di Sion.
  • Sul timpano sinistro: dalla parte del coro, Dio appare a Mosè al roveto ardente. Mosè riceve l’ordine di condurre il popolo d’Israele fuori dall’Egitto (cfr. Esodo 3, 1-22). Mentre sul fondo, Giacobbe lotta contro l’Angelo (cfr. Genesi 32, 1-33). Il sogno di Giacobbe e la scala (cfr. Ge­nesi 28, 12-22). All’estremità della scala che si perde nel cielo è rappresentata la Vergine con il fanciullo (si tratta di una interpretazione di un episodio dell’antico testamento visto alla luce del nuovo).
I Mosaici

 

Si è lungamente creduto che i mosaici della chiesa di Chora(Kariye) risalissero a due epoche diverse, cioè una parte sarebbe stata creata durante il XII secolo, l’altra nel corso del XIV se­colo.

Secondo studi intrapresi da lungo tempo, gli studiosi sti­mano che queste composizioni di uno stile molto omogeneo, appartengano nel loro insieme al XIV secolo.

I quadri costituiscono un fedele ritratto del rinascimento bizantino. Per la disposizione delle scene, l’artista non ha tenuto conto delle regole prestabilite. Infatti distribuisce le scene nello spazio disponibile, dando libero corso alla sua Ispirazione. L’interpretazione, delle scene e dei personaggi è caratterizzata dalla stessa noncuranza nel riguardo delle norme: alla rigidità della legge, sostituisce la vita e il movimento senza per questo che siano rinnegate le tradizioni e le tecni­che classiche. Per quanto concerne i costumi dei personaggi, per esempio, si riscontra la stessa sontuosità, i procedimenti e i princìpi delle opere musive della Scuola di Costantinopoli

Ma l’emozione dell’artista è ormai sensibile e visibile attraverso le sue opere. Egli infatti si sforza di dare l’illusione della vita e della realtà.

i migliori mosaici e quelli meglio conservati si trovano nel secondo nartece (o esonartece). Questi infatti si allontanano di più dallo stile classico bizantino dell’XI secolo. Queste com­posizioni si distinguono per la ricchezza dei colori e la grande delicatezza dei disegni. La rigidità delle figure che si staccano dal fondo in oro uniforme, come appare nelle composizioni anterori, è esclusa. Tra i primi storici, qualcuno credette sco­prire l’influenza occidentale in quest’arte musiva del XIV secolo.

Tesi più recenti, come quella di Carlo Diehl, rifiutano, al contrario, ogni influenza occidentale che trasparirebbe nell’uso dell’ombreggiature, nei colori molto sfumati, nel movimento che anima i personaggi, anche se sono questi degli elementi che si riscontrano nello stile occidentale.

Queste tesi affermano, al contrario, che i mosaici di Kora sono il prodotto del rinascimento indipendente, libero da ogni influenza, quale si è manifestato a Bisanzio. In effetti i mosaici della chiesa di Kora esistevano già all’epoca in cui nacque in Italia la Scuola del Quattrocento.

I mosaici di Chora, creati all’inizio del XIV secolo, cioè tra il 1310 e 1320, corrispondono così a una fase dell’evoluzione particolare dell’arte bizantina e precludono a forme e tecniche ulteriori dell’arte musiva: l’impiego di tessere più piccole, il gusto del dettaglio pittoresco, la ricerca di effetti di colori attraverso le tecniche della pittura a olio o ad acquarello, la vivacità delle composizioni attraverso il gioco delle sfumature e dei colori. E’ così infatti che i tratti dei personnaggi si ani­mano, grazie cioè all’impiego delle tessere più piccole e del color rosa per i volti: l’illusione della vita e della realtà è nata.

 

Tutti gli specialisti concordano nel dire che un’ottica nuo­va si è fatta strada attraverso questi mosaici dove i temi re­ligiosi classici sono trattati in una maniera viva. Alcuni mosaici sembrano mpregnati di vita; lo spirito che li anima ha cessato d* rivolgersi esclusivamente all’aldilà; il profano s’introduce ormai attraverso i temi religiosi. La rcerca della poesia, la luntasia nel trattare i costumi, la raffinatezza nella scelta delle forme e dei colori costituiscono i segni più notevoli di queste rinnovamento artistico e caratterizzano la nuova tendenza al naturalismo, prima del declino.

La tendenza al lirismo, nell’arte del rinascimento bizantino, appare nettamente, per esempio, nel mosaico dove viene rappresentata san’Anna nel giardino, dove l’artista usa sapien­temente la tavolozza; tinte diverse di verde per gli alberi e le erbe, toni disuguali per gli uccelli appollaiati sugli alberi. Noi dobbiamo queste brillanti creazioni a degli autentici maestri i quali misero a giorno le loro opere prima del declino di Bisanzio.

I mosaici dell’esonartece

1/1

  • L’angelo appare in sogno a Giuseppe e gli ordina di prendere con lui la moglie, Maria, incinta per opera dello Spirito Santo (cfr. Mt 1,20).
  • — al centro: l’incontro di Maria con Elisabetta, moglie di Zaccaria, nella casa, sulle montagne della Giudea (cfr. Le 1,40).

a destra : Maria e Giuseppe lasciano Nazareth per andare al censimento a Betlemme. Il governatore è pure rappre­sentato (cfr. Le 2, 1-4L

1/2

  • Censimento davanti a Quirinio. Maria porta un ampio abito. Giuseppe invece è a piedi nudi (cfr. Le 2, 1-4).
  • Il governatore Quirinio, vestito di un mantello, fermato da un fermaglio, seduto sul trono. Alla sua destra, una guar­dia armata.
  • al centro: un alto funzionario assistito da uno scrivano che riempie i registri

La ricchezza dei colori, i dettagli minuziosi e famigliali fanno di questa composizione un capolavoro di una bellezza incomparabile. Notare l’atteggiamento particolarmente e- spressivo dei personaggi.

 

  • Sulla volta, in alto: i santi Marderio, Osenzio, Eustrate, Eugenio, Oreste, tutti nei medaglioni.
  • La santa famiglia (Gesù, Maria, Giuseppe) ritorna a Na­zareth dopo la feste di Pasqua a Gerusalemme. Gesù nel tempio all’età di dodici anni (cfr. Le 2, 41-52).
  • Sulla volta, in alto: busti di santi, Anempodista, Epideforo, Achindino, Aptonio, Pegasio, tutti nei medaglioni. Il mo­saico del centro è molto rovinato. Esso rappresenta, forse, Gesù all’età di dodici anni che disputa con i dottori della legge nel tempio (cfr. Le 2, 4-52).

I/II/5

  • Sull’arco, a lato, del nartece: sant’Andronico.

I/II/6

  • Sull’arco, a lato della facciata: san Taraco. Questi, veterano dell’annata, fu nel numero di coloro che si unirono volon­tariamente al gruppo dei cristiani martirizzati dall’imperato­re romano Diccieziano. Andronico, originario di Efeso, è rappresentato sotto le sembianze di un adolescente dai lunghi riccioli.
  • Sotto il ritratto di sant’Andronico, si può notare un mo­saico molto cancellato che rappresenta sant’Anna con in braccio la Madonna, bambina.

II/7

  • La nascita del Salvatore.
  • Al centro: Maria nella grotta; i piedi della partoriente sono stati legati per facilitare il parto.
  • In alto: il bambino riposa nella mangiatoia. Il raggio lumi­noso che scende dal cielo simboeggia l’essenza divina del neonato.
  • A sinistra, al disopra della culla: angeli glorificanti Dio e annuncianti la pace sulla terra.
  • A destra, sempre sopra la mangiatoia: angelo che porta ai pastori la buona novella.
  • In basso, a destra: Giuseppe che gira la testa in meditazione sul mistero della nascita del Cristo (illustrazione tratta da un testo di un vangelo apocrifo).
  • In basso, a sinistra: serve che lavano il bambino dopo la nascita (cfr. Le 2, 6-16; Mi 1, 25).
  • Sull’arco: santi Filemone, Lucio, Agatonico, Tirso e Apollonio, nei medaglioni.
  • Il ritorno dall’Egitto.
  • A sinistra : nel mosaico, l’angelo appare in sogno a Giu­seppe.

A destra, nel riquadro musivo: la santa famiglia in cammino per il Maria è vestita d’un abito blu scuro, Giuseppe, a piedi nudi, porta il bambino sulle spalle.

Sullo sfondo: la città di Nazareth. Si sprigiona, da questo insieme, una impressione di realismo puro, reso tale attra­verso la ricchezza dei colori. Quadro molto rappresentativo dell’arte musiva classica.

Sull’arco, in alto: i santi Demetrio di Salonicco e Yorghi di Palestina, nei medaglioni.

II/7

  • La nascita del Salvatore.
  • Al centro: Maria nella grotta; i piedi della partoriente sono stati legati per facilitare il parto.
  • In alto: il bambino riposa nella mangiatoia. Il raggio lumi­noso che scende dal cielo simboeggia l’essenza divina del neonato.
  • A sinistra, al disopra della culla: angeli glorificanti Dio e annuncianti la pace sulla terra.
  • A destra, sempre sopra la mangiatoia: angelo che porta ai pastori la buona novella.
  • In basso, a destra: Giuseppe che gira la testa in meditazione sul mistero della nascita del Cristo (illustrazione tratta da un testo di un vangelo apocrifo).
  • In basso, a sinistra: serve che lavano il bambino dopo la nascita (cfr. Le 2, 6-16; Mi 1, 25).
  • Sull’arco: santi Filemone, Lucio, Agatonico, Tirso e Apollonio, nei medaglioni.
  • Il ritorno dall’Egitto.
  • A sinistra : nel mosaico, l’angelo appare in sogno a Giu­seppe.
  • A destra, nel riquadro musivo: la santa famiglia in cammino per il ritorno. Maria è vestita d’un abito blu scuro, Giuseppe, a piedi nudi, porta il bambino sulle spalle.

Sullo sfondo: la città di Nazareth. Si sprigiona, da questo insieme, una impressione di realismo puro, reso tale attra­verso la ricchezza dei colori. Quadro molto rappresentativo dell’arte musiva classica.

  • Sull’arco, in alto: i santi Demetrio di Salonicco e Yorghi di Palestina, nei medaglioni.

lll//9

  • Al centro della volta: Gesù battezzato nel Giordano da San Giovanni Battista (Cfr. Mt 3, 13-17; Me 1, 9-11; Le 3, 21-22; Gv 1, 31-34).
  • A ‘Iato: la tentazione di Gesù nel deserto (Cfr. Mt 4, 1-11; Me 1, 12-13; Le 4, 1-13).

H/lll/10

  • Sull’arco, a lato de! nartece: San Giorgio.
  • In basso: mosaico molto cancellato in cui si intravvede la Ver­gine.
  • a lato della facciata: San Demetrio.

lll///ll

  • Al disopra della porta che accede al nartece: il Cristo Pan- tocrator, che tiene nella mano sinistra il libro dei Vangeli, serrandolo verso il petto; la mano destra è alzata in segno di benedizione.
  • A lato: le iniziali di Gesù Cristo, poi l’iscrizione «terra dei viventi».

E’possibile che il termine di «kora», che ritorna, qui, conten­ga un’allusione al terreno della chiesa, situata nei campi (San Salvatore «dei campi», fuori dalle mura della città). 111/12

  • La Vergine con un medaglione nel quale è rappresentato il Cristo.

La Vergine è in preghiera (atteggiamento che evoca forse la vocazione della chiesa).

  • Ai due lati: angeli adoranti.
  • Nella crociera, al disopra della porta, a sinistra: le nozze di Cana. Il miracolo della acqua trasformata in vino. L’artista ha rappresentato pure i servitori che portano l’acqua e l’architriclino che gusta il vino (Cfr. Gv 2, 1-11).
  • Al disopra della porta della casa dove ebbero luogo le nozze notare la data 1303, in cifre arabiche.

lll//14

  • A destra: la moltiplicazione dei pani (Cfr. Mt 14, 13-21; Le 9, 10-17).

111/15

  • A sinistra, a lato del mosaico che rappresenta Maria, nel fondo: la moltiplicazione dei pani a Pasqua (Cfr. Me 6,30- 44; Gv 6, 1-13).

lll//16

  • A destra, sul fondo: il sacrificio di un toro.

\\\/\V 17-18

  • Alle estremità dell’arco: due santi anonimi.

IV/19

  • I Re Magi si presentano davanti a Erode per accertarsi del re che sarebbe nato (Cfr. Mt 2, 1-12). Erode, seduto sul tro­no, ha^davanti a lui i Magi d’Oriente.
  • Sull’arco, in alto: santi nei medaglioni.

IV/20

—Elisabetta tenta di strappare san Giovanni Battista agli sgherri d’Erode. Secondo la leggenda, una roccia si aprì per dare il passaggio alla madre e al fanciullo, poi si chiuse davanti agli inseguitori.

IV /21

  • Nell’arco, in alto: i santi Egrafo, Mina, Ermogene, nei me­daglioni.

V/22

  • Erode invia i Magi d’Oriente a Betlemme (Cfr. Mt 2, 9-10). Il mosaico è in parte cancellato.
  • Sull’arco, in alto; santi anonimi, mosaico rovinato.

V/23

  • Le madri di Betlemme che piangono i loro digli, massacrati nelle braccia (Cfr. Mt 2, 17-19).

V/24

  • I mosaici della volta sono scomparsi.

 

  • Nell’angolo dove prosegue l’esonartece verso il lato del

parecclesìon: guarigione del paralitico. Il paralitico, ada­giato sul suo lettuccio, alza le mani per implorare Gesù. Da­vanti a lui il Cristo è circondato dai suoi discepoli e dai farisei (Cfr. Mt 9, 1-8; Me 2, 1-12; 5, 17-26). Il paralitico gua­rito trasporta il letto sulle spalle.

  • Mosaico completamente cancellato.

VI/26

  • Gesù e la Samaritana, presso il pozzo di Giacobbe (Cfr. Gv 4, 1-30). Secondo i testi evangelici, la Samaritana inizialmen­te rifiuta di dare da bere a Gesù che era giudeo, poi lo riconosce come Salvatore. Il mosaico è in parte cancellato.

V/l/27

  • Sulla campata, in faccia all’entrata del parecclesìon, a si­nistra : Erode ordina il massacro degli innocenti. Erode è rappresentato seduto sul trono.

A destra; il massacro. Interpretazione molto realista dell’ esecuzione del massacro e della disperazione delle madri dei fanciulli massacrati.

Il mosaico della volta è scomparso.

Il Nartece interiore

 

Vll/28

Sulla cornice della nicchia : guarigione del lebbroso (Cfr. Mt 8, 1-4; Me 1, 40-44; Le 5, 12-14). Il lebbroso tende le braccia verso Gesù per domandargli la grazia.

Il mosaico è in parte rovinato.

Vll/28 a

Guarigione del rattrappito.

VII/29

Al centro della cupola sud: il Cristo Pantocrator, con il Li’ bro dei Vangei e la mano alzata, nel rituale gesto di colui che spiega.

Tra le volute della cupola : gli antenati di Cristo, a partire da Adamo. Tra essi, i dodici figli di Giaccobbe: Ruben, Simeo­ne, Levi, Giuda, Dan, Neftali, Gad; Aser, Issacar, Zàbulon, Giuseppe e Beniamino.

VII/30

Guarigione dell’emoroissa, cioè della donna che perdeva sangue da dodici anni e che aveva speso tutto ciò che possedeva senza aver alcun sollievo (Cfr. Mt 9, 20-22; Me 5, 25-34; Le 8, 43-48).

VI 1/31

  • Cupola sud, sotto la volta, a sinistra; dal lato della navata: guarigione della suocera di Pietro (Cfr. Mt 8, 14-17; Me 1, 23-34; Le 4, 40). A destra della malata sta il genero, Pietro. Dietro Gesù che afferra l’ammalata per la mano, un disce­polo spiega la scena a chi l’assiste.

VII/32

  • Cupola sud, dal lato dell’esonartece: guarigione dei due ciechi (Cfr. Mt 20, 29-34). Notare l’atteggiamento del Cristo

che i due ciechi supplicano. I colori cangianti rendono questo quadro ancor più espressivo.

VII/33

  • Sul riquadro, a lato della navata: Deesis. Cristo e la Vergi­ne. A sinistra della Vergine, sulla parte inferiore del quadro, Isacco Comneno, mentre a destra del Cristo, una monaca.

Si pensa che il personaggio rappresentato a sinistra della Vergine sia Isacco Comneno (Sebastocrator). La presenza del suo ritratto nella chiesa equivarrebbe a un segno di ri- conoscenza nei riguardi di colui che la fece ricostruire per la terza volta. O forse perchè egli possedeva sulla chiesa una specie di patrocinio o di proprietà, a causa della secon­da costruzione dell’edificio, voluto dalla suocera Maria Du- kaena.

Il personaggio femminile, a destra del Cristo, rappresente­rebbe, secondo Paul A. Underwood, una principessa mongo­la, dal nome religioso di Metano, parente di Andronico II. Questa principessa è forse semplicemente la sorellastra d’Andronico II, la quale aveva sposato un principe mongolo. La presenza nella chiesa di un ritratto d’una parente di Andronico II sembra tuttavia costituire una prova che il mosaico non risale ad un’epoca anteriore a quella di Teodoro Metochite.

VII/34

  • Gesù a Cafarnao. La guarigione di parecchi malati, venuti a implorarla (Cfr. Mt 8, 16-17; Me 1, 32-34; Le 4, 40-41).

VII/35

  • Maria riceve del pane dall’arcangelo Gabriele.
  • Di fronte : mosaico completamente cancellato.

VIII/36

  • L’apostolo Paolo con gli scritti in mano.

VI 11/37

  • L’apostolo Pietro con le chiavi in mano.

VIII/38

  • Ai disopra del portale che dà sulla navata, il Cristo Panto- crator in trono. Davanti a lui, in adorazione, Tedoro Metochi- te che aveva fatto restaurare la chiesa e il convento. I ricchi abiti, di cui è rivestito, sembrano segnare la fine dell’era ecclesiastica e gli inizi di un’era nuova, all’Indomani della riconquista della città da parte di Michele Paleologo Vili. Il turbante di cui Metochite è coperto costituerebbe un’allusione all’Impero Romano d’Oriente in opposizione a quello di Roma.
  • 11/39
  • Gioacchino presenta Maria al Tempio.
  • 1/40
  • Le vergini del tempio con torce rosseggiami in mano.

VI 11/41

  • Maria riceve della lana per tessere i veli del tempio.

VI 11/42

  • I primi passi di Maria. Dietro a lei si vede una serva, pronta a soccorrerla.

VI 11/43

  • Il sommo sacerdote inginocchiato davanti alle dodici verghe che simboleggiano le dodici tribù d’Israele. E’in seguito a questa preghiera che rinverdì la verga dalla quale sarabbe uscito il fidanzato di Maria.

Notare i teneri germogli che fioriscono in cima alla quarta verga, quella di Giuda e di David, da cui nacque Giuseppe, il fidanzato di Maria.

IX/44

  • La nascita di Maria. Anna riposa su un letto al centro della scena ed è circondata da serve che lavano la bambina e la mettono a dormire nella sua culla.

Gioacchino sta presso la porta, osservando attentamente la scena; il suo atteggiamento esprime l’emozione e lo stupore insieme di essere padre, dopo la lunga sterilità di Anna.

  • Il sommo sacerdote rimette a Giuseppe la verga che aveva germogliato in seguito alle preghiere e che, appunto per questo, lo designava sposo della Madonna,

IX/46

  • Anna confida al suo sposo Gioacchino il segreto dell’annun­ciazione.

IX/47

  • Giuseppe prende Maria in casa sua.

IX/48

  • Maria circondata dalla sua famiglia (la Vergine bambina Sant’Anna, Giocchino).

IX/49

  • guarigione di Maria invocata da tre preti.

X/50

  • l’annuncio a Sant’Anna, madre di Maria, fatta dall’arcangelo Gabriele, presso una fontana. Il paesaggio della fontana e del paggio che ascolta è estremamente vivace e colorito.

X/51

  • L’annunciazione della Madonna da parte dell’arcangelo Gabriele, presso la fontana. (L’episodio è descritto sotto la rappresentazione più classica conosciuta) Cfr. Le 1, 26-38.

X/52

  • Giuseppe sogna di ripudiare Maria, trovandola incinta (Cfr. Mt 1, 18-22). Scena d’addio. Sullo sfondo, diversi edifici. In primo piano, un paggio porta un paniere sulle spalle.

X/53

  • A sinistra, all’estremità nord della cupola : il sommo sa­cerdote, con una lunga barba, è installato sul trono a co­lonne, sormontato da cupolette.

X/54

  • Il padre di Maria, Gioacchino, si lamenta di essere senza figli. I suoi vicini lo scherniscono.

X/55

  • Al centro della cupola, all’estrema sinistra del nartece : la Vergine con il Bambino.
  • Tra le volute della cupola : ritratto dei diciannove patriar­chi.
    La navata
  • Al di sopra del portale, all’interno : la Dormizione della vergine. Al centro del quadro : Maria sul suo letto di morte, gli occhi spenti. Dietro al letto, sta il Cristo, rivestito d’oro, portante tra le sue braccia un bambino che simboleggia l’anima di Maria. Il letto è circondato da apostoli e fedeli. In cielo, al disopra del Cristo, dei cherubini dalle ali che nascondono il volto.

    Sarà bene notare con quale chiarezza è espresso il pen­siero religioso. L’oro luminoso serve a rappresentare il Cristo, risuscitato e asceso al cielo, simbolo della gloria eterna. Il coro degli angeli, l’anima della Vergine sono eseguiti nel colore grigio per far notare lo stato intermedio tra la morte e il ritorno del Cristo sulla terra che annuncerà il compimento del regno dei cieli. Gli apostoli, le persone che circondano il letto, come pure gli edifici della scena sono presentati con i colori ordinari dell’esistenza terrestre; anche gli angeli appaiono al disopra della casa, invisibili secondo la loro natura, ma visibili nell’idea dell’artista.

    — A sinistra dell’abside : il Cristo, in piedi, tiene in mano il libro dei Vangeli.

    Al disopra, in un riquadro di marmo: il Cristo Pantocrator, circondato da foglie di acanto.

    Alle quattro estremità del quadro : le raffigurazioni dei quattro evangelisti, molto rovinate.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *