Non disponiamo purtroppo di informazioni precise sulle primitive costruzioni che ornavano anticamente le rive di Dolmabahce e sulle trasformazioni che esse subirono nel corso dei due secoli. Tutto ciò che conosciamo si riassume in alcuni passaggi, citati per caso, dagli storici che trattarono disparate materie.
Bisognerebbe riunire questi scritti attinenti a Dolmabahce, classificarli, spulciare gli archivi in nostro possesso: esistono infatti documenti che riguardano resiauri, spese per l’alimentazio ne degli abitanti di queste antiche dimore, e le spese pure per i ricevimenti che vi furono dati.
Sappiamo tuttavia che Dolmabahce fu, innanzi tutto, una baia che si estendeva fino all’attuale parco di Kucukciftlik; e questa baia fu riempita sotto i regni di Ahmet I e Osman I. II giovane Osman si dedicava allo sport del giavellotto, sul terreno che aveva fatto colmare. Apprendiamo da certe fonti straniere che, in seguito, altri sovrani godevano nel contemplare dalla finestre del palazzo che davano sul giardino i giochi del giavellotto, chiamati «Cirit oyunu».
Evliya Celebi, famoso per i suoi viaggi e pellegrinaggi, parla di un chiosco e d’un bacino che aveva fatto edificare Selim II. Questo chiosco, la cui facciata è intieramente coperta di maioliche, fu resa giustamente celebre. Una fuga di palazzi, costiuiti in legno sulla riva, furono continuamente rinnovati lungo i due secoli.
Qualche turista di passaggio, di marca occidentale, che era stato testimone dello splendore dei palazzi costruiti in legno, durante gli ultimi anni che precedettero la loro scomparsa, ci lasciarono dei racconti entusiasti e vivaci, ciò che trova riscontro nelle fonti locali, le quali dimenticarono di tornile particolari e dettagli sulle case d’Istanbul.
Miss Pardoe, per esempio, ammira non soltanto lo splendore dei palazzi colorati e dorati, ma anche il verde meraviglioso degli alberi da frutta, dei boschetti, dei campi di granturco, che partendo dalle mura dei palazzi correvano lungo tutta la valle fino al cimitero di Ayazpaşa. Ed è appunto in questa valle che ebbero luogo le feste organizzate all’aperto, secondo le tradizioni nomade, per celebrare il matrimonio della Sultana Saliha, figlia di Mahmut II, con Halil Paşa. Le feste durarono due settimane, le luminarie riempirono il cielo di colori incantati. Gli alti dignitari di stato e i loro invitati, installati sulle alture, potevano contemplare i fasci multicolori che rischiaravano la festa.
Anche il matrimonio della Sultana Mihrimah con Mehmed Said Pascià nel 1836 e nel 1840 quello della sorella di Abdülmecid I, Atiye, con Fethi Ahmed Pascià, furono celebrati solennemente nella medesima vallata.
Il maresciallo Moltke, che ancora giovane ufficiale, durante il suo soggiorno a Istanbul, nelle sue famose lettere, dà delle informazioni molto interessanti a riguardo del palazzo di Dolmabahce, sul Bosforo, dove egli era stato ricevuto dal Sultano Mahmut II. Secondo Moltke, il sultano continuava ad abitare il palazzo, pure durante la stagione invernale.
Raccontando del suo invito a corte, Moltke annota che innanzi tutto fu condotto nella parte «del Mabeyn», riservata alle riunioni dei dignitari di stato, la quale si trovava separata dal palazzo, propriamente detto, da un muro di grande altezza. Dopo qualche conversazione con degli alti funzionari, Moltke fu condotto, attraverso una piccola porta laterale, in un cortile circondato da mura per i tre lati, munito di un bacino chiuso da una spessa cortina di ferro per la parte che donava sul mare. Sul fondo del cortile un bellissimo chiosco a tre piani, in legno, era riservato al sultano. Moltke nota che il mobilio del chiosco, la cui vista sul Bosforo era splendida, non presentava alcun carattere di ricchezza o di opulenza: le poltrone, le tavole, le stufe erano comuni alle abitazioni medie europee.
Lamartine, il grande poeta e uomo di stato francese passò, in caicco, in un mattino del mese di maggio dell’anno 1833, davanti al palazzi che s’allineavano, lungo la riva di Dolmabahce. Egli descrisse, con il suo stile colorito e fantasioso che gli è proprio, le facciate ornate da motivi floreali che si riflettevano sulle acque, i soffitti dorati dove tremolanti si rinfrangevano i flotti della riva, e una mano bianca di donna che da una finestra appariva timidamente.
Le belle incisioni dell’album di Melling e soprattutto d’ Ohsson ci restituiscono il vero aspetto di questi antichi palazzi.
Ma il tema principale, in questo nostro studio, è il palazzo di Dolmabahce nel suo aspetto attuale. Quello che si vede oggi, fu costruito sotto l’ordine del Sultano Abdulmecit, il quale fece demolire le abitazioni in legno che s’allineavano sulla riva. Le pubblicazioni riguardanti il palazzo e in modo particolare le annotazioni di H. Şehsuvaroglu, in quest ultimi venti anni, indicano che i lavori di completamento e rifinimento si situano tra il 1853 e 1854.
Infatti, lo scrittore francese, Teofiio Gautier, che visitò il palazzo nel 1852 e s’intrattenne con l’architetto Balyan, racconta, nei suoi ricordi, che i decoratori turchi e stranieri, incaricati eli ornare le sale, non avevano ancora finito il loro incarico. Gautier aggiunge anche che era stato ricevuto in uno degli edifici antichi ancora in piedi a quell’epoca, cioè non ancora demolito.
Un giornale dell’epoca, annunciava che nell’anno 1855 il palazzo in riva all’ecqua, di Sua Maestà il Sultano, costruito Besiktas, sarà compiuto venerdì, 10 corrente. Possiamo supporre che anche nel caso che la costruzione del palazzo fosse effettivamente compiuta nel 1855, il sultano giudicò prudente di rinviare a più tardi la pomposa cerimonia d’inaugurazione di questo costoso edificio, all’epoca in cui si svolge la guerra di Crimea.
Altrove, un giornale edito a Istanbul in lingua francese, annuncia che il Sultano offrì nel luglio 1856 una colazione in onore del maresciallo Pélissier, per festeggiare la fine delle ostilità e per inaugurare ufficialmente il nuovo palazzo. Durante questo pranzo, che vide riuniti centotrenta invitati e che durò tre ore, furono serviti trentasette specialità di piatti. Il Sultano offrì al maresciallo Pélissier una decorazione ornata di pietre preziose e ne diede un altra all’ambasciatore inglese, perchè fosse destinata al generale Sir William Codrington, il quale non aveva potuto assistere al ricevimento.
Così fu brillantemente inaugurato il palazzo di Dolmabahce, che rivoluzionava i costumi della famiglia imperiale. Sotto l’influenza occidentale, abbandonarono definitivamenta il sistema dei piccoli padiglioni e chioschi, abbelliti da giardin in stile nazionale; sistema che in realtà era legato alle abitudini ancestrali dei nomadi. Queste costruzioni leggere provvisorie erano ormai rimpiazzate dai palazzi imponenti, in pietra, edificati con l’ausilio di materiali solidi e duraturi.
Il regno di Abdulmecit segna una della fasi più significative nella storia turca. Dottori, militari e ingegneri furono mandati in Europa a imparare il meglio del mondo occidentale e gli specialisti di queste tre professioni furono inviati dal governo turco per tutto il Paese a rinnovare l’assetto sociale e produttivo delle varie provincie. L’esercito e il sistema di istruzione tecnica furono i primi settori della società turca a rivelare i progressi di quest’epoca illuminata. Altri campi della vita turca furono altrettanto rapidamente influenzati dallo spirito di rinnovamento che pervase tutto l’Impero. Nei settori del commercio e dell’industria furono adottate nuove leggi modellate su quelle in uso nell’Europa occidentale. Durante questo regno, un fervido programma di riforme trovò il terreno idoneo per realizzarsi. La stessa istituzione monarchica cominciò a imitare le monarchie dell’Europa occidentale nella prassi di vita quotidiana e nel modo di vestire. Abdulmecit non fu solo il primo Sultano Ottomano ad assistere a una festa da ballo ma anche prese parte alle danze. Era un uomo di idee aperte, di grande impegno e sensibiità.
Ma anche il regno di questo monarca illuminato non potè evitare alcuni aspetti negativi. Costretto a competere con i metodi europei di produzione su larga scala, l’artigianato ottomano entrò in una fase di recessione. La stessa monarchia, per aver imitato con troppo zelo gli sfarzi delle corti occidentali, snaturò la sua tradizionale fisionomia nella tipica pompa del diciannovesimo secolo.
Il palazzo, così come lo vediamo nella prospettiva del nostro tempo, appare un prodotto della sua età; età in cui, sullo splendore e sui fasti della sua grande mole e della vita dei suoi abitanti, grava l’ombra degli interventi stranieri non remunerati e dei debiti crescenti. Riflettendo su questo periodo di «tramonto» della monarchia, ci è dato ricordare quanto settecento anni fa ebbe a profetare il filosofo nordafricano Ibn Khaldoun a proposito degli stati sull’orlo del fallimento: «Spese dissipanti e pompa, vita splendida e lussuosa e un graduale collasso; un triste e inevitabile declino e la fine».
Ora, un po’ immedesimati nell’atmosfera del tempo, sostiamo davanti al grande palazzo di Dolmabahce. Esaminiamo i suoi tesori e apprendiamo la storia dei suoi illustri abitanti d’un tempo.
Il costruttore di Palazzo Dolmabahce, il Sultano Abdülmecit, vi morì in ancor giovane età di tubercolosi. Suo fratello e successore, il Sultano Abdulaziz, sebbene avesse messo in linea una forte flotta da guerra a fosse stato il primo Sultano Ottomano i sui interessi lo portarono a visitare l’Europa occidentale, fu detronizzato il 29 maggio 1876 a causa delle spese rovinose e il preteso dispotismo. La flotta, che puntò i cannoni sul palazzo, i cadetti dell’Accademia Militare e i funzionari dello Stato fecero causa comune nel detronizzare Abdulaziz, relegalo in una modesta residenza a Ortaköy sul Bosforo.
Salì quindi sul trono ottomano il Sultano Murad V ma fu costretto ad abdicare quando, a causa delle sue condizioni di salute, lo si ritenne inabile a regnare.
Il successore di Murad V fu il famoso Sultano Abdulhamit II, un monarca assolutista e un governante sospettoso per natura che, memore della detronizzazione dei suoi due predecessori, abbandonò il Palazzo Dolmabahce dopo la sua nomina a Sultano per andarsi a insediare a Palazzo Yildiz (il Palazzo della Stella) dove costruì un complesso di piccoli «chalet» e chioschi. Dopo 33 anni, il regno di Abdulhamit II finì in una ribellione. Toccò allora al suo fratello maggiore, Mehmet Reşat, cingere la spada di Osman – l’equivalente ottomano dell’incoronazione – e Palazzo Dolmabahce tornò a essere ancora una volta la residenza imperiale. Fu il tempo in cui esplose in tutta la sua violenza la prima guerra mondiale. Il vecchio Sultano, che ebbe da affrontare i problemi della partecipazione turca al conflitto, morì durante la guerra.
Spettò allora al Sultano Mehmet VI, anch’egli in tarda età, governare l’Impero. Incapace di sostenere l’urto dei potenti eserciti invasori e sfidato alfine dai capi del movimento di indipendenza che accresceva la sua forza in Anatolia, Mehmet VI fuggì da Palazzo Dolmabahce a bordo di una nave da guerra inglese.
Il nuovo regnante non fu, in realtà, un vero e proprio Sultano di sangue reale; Abdulmecit ebbe solo il titolo di Califfo durante il suo breve «regno». Fu esiliato dal Paese nel 1924 e così finì il potere secolare della Casa di Osman, e con essa finì un’epoca.
Il fondatore della Repubblica Turca, il grande Kemal Ataturk si stabilì ad Ankara, nel cuore dell’Anatolia, divenuta la capitale della nuova Turchia. La sede del governo e i suoi uffici furono allora trasferiti nella nuova capitale. In occasione delle sue visite a Istanbul, Ataiùrk occupò, per sé, una stanzetta del Palazzo Dolmabahce. Del quale, in pratica, fece un centro per congressi nazionali, storici e linguistici, e per conferenze internazionali. Un fatto importante avvenne nel 1930 quando a Palazzo Dolmabahce si radunò il congresso dell«Alleanza Internazionale del Turismo», per ordine di Ataturk.
Tra i personaggi famosi che visitarono il palazzo ai tempi dei Sultani Ottomani dobbiamo ricordare l’imperatrice Eugenia di Francia, venuta a Istanbul per ricambiare la visita del Sultano Abdulaziz in Francia; l’imperatrice Eugenia di Francia, venuta a Istanbul per ricambiare la visita del Sultano Abdulaziz in Francia; l’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe; il granduca Costantino; il granduca Nicola, il Kaiser Guglielmo II, il re Ferdinando di Bulgaria, il re Pietro di Serbia e l’imperatore austro- ungarico Carlo.
Durante la Repubblica, ospiti illustri furono lo Scià di Persia, Resa Pavlevi, re Feysci dell’Iraq, Abdulah di Giordania, re Amanullah dell’Afganistan, Edoardo principe di Galles, Charles De Gaulle e altri.
Contenuti
Mappe
Palazzo Dolmabahçe su Mappa (Google Maps)
Posizioni di tutti i monumenti storici su piudistanbul.com sulla mappa (Google Maps)
Contattaci per Visite Guidate
Visita al Palazzo
Ingresso
Aperto tutti i giorni dalle 9:00 alle 16:00. Chiuso il lunedì, il 1 gennaio e il primo giorno delle festività religiose.
Se il numero di visitatori supera il limite giornaliero, la biglietteria chiude prima.
Selamlık (sezione ufficiale):
Prezzo del biglietto: 60 TL
Scontato (studenti / carta d’identità studentesca internazionale richiesta): 30 TL
Harem (sezione Famiglia):
Prezzo del biglietto: 40 TL
Scontato (studenti / carta d’identità per studenti internazionali richiesta): 20 TL
Biglietto combinato per Selamlık e Harem:
Prezzo del biglietto: 90 TL
Scontato (studenti / carta d’identità studentesca internazionale richiesta): 45 TL
Bambini fino a 6 anni: gratuito
Istanbul Museum Pass non è valido qui.
La prima impressione che il visitatore riceve è quella del magnifico giardino: lampioni di squisita fattura, dipinti di bianco, si allineano lungo i viali ghiaiosi; fiori rari sbocciano nei vasi di marmo; un grande specchio d’acqua regolare, proprio di fronte all’imponente entrata del palazzo, riflette il verde, grigio e azzurro di conifere e magnolie; un’alta fontana ornamentale aggrazia in modo attraente il centro dello specchio d’acqua.
La facciata del palazzo è in stile impero e barocco e sembra una visione da sogno, con le sue balconate e le sue colonne di marmo d’un bianco abbagliante. Il famoso scrittore Théophile Gautier così descrive l’aspetto esterno del palazzo:
«L’enorme costruzione di marmo del Marmara, di un bianco azzurrino che la stridente chiassosità del modernismo fa sembrare un pezzo freddo, produceva un effetto davvero maestoso fra l’azzuro del cielo e quello del mare; effetto che è ancora migliore quando il caldo sole dell’Asia, splendente a picco su di essa, lo indora con i suoi raggi. Sicuramente, Vignola non si riconoscerebbe in questa facciata, ibrida da cima a fondo, dove gli stili di tutti i Paesi e di tutti i tempi formano un ordine composito che egli non avrebbe potuto prevedere. Ma non si può negare che questa moltitudine di fiori, decorazioni a spirale, ornamenti di rose alle finestre, intagliati come gioielli dal loro prezioso materiale, produce un’impressione di lusso, complicatezza, meticolosità e diletto alla vista. Questo è un palazzo che avrebbe potuto essere costruito da uno scultore di ornamenti che non si risparmiò né l’arte né il tempo né le spese. Così com’è, lo preferisco a quelle tediose imitazioni classiche, così brutte, monotone, fredde e noiose, eseguite da pedanti seguaci di scuole e mi piacciono queste vivaci decorazioni a foglie intrecciate con fantastica eleganza meglio di un frontone triangolare o di una cornice attica posta orizzontalmente su sei od otto colonne macilente.»
Giardino
Ci troviamo di fronte al palazzo bianco, una maestosa facciata di balconate e colonne. La sua magnificenza vi balza subito agli occhi. Iniziato nel 1844 e portato a termine nel 1356, Palazzo Dolmabahce richiese una spesa di cinque milioni di lire ottomane d’oro. Alla valuta d’oggi, ciò dovrebbe corrispondere a 550 milioni di dollari.
Sala d’ingresso-Medhal Salonu
Nella prima sala pende un magnifico lampadario di cristallo Baccarat. Ce ne sono 36 simili a questo in tutto il palazzo. La sala scintilla in modo stupendo per I riflessi di questo grande lampadario e per le fonti duce in cristallo che si allungano dal pavimento al soffitto al quattro angoli della stanza, per una imponente installazione di 30 lampade sul pavimento e per due altri infissi luminosi di cristallo sugli zoccoli. I due grandi vasi su ogni lato della porta difronte ai piedi dello scalone che conduce al secondo piano e i bei vasi dipinti a destra, a sinistra e al centro di questo salone, sono prodotti della fabbrica di porcellane di Yildiz, a Istanbul. Il locale è chiamato «Medhal Salonu», ossia «Sala d’ingresso».
La sala a destra era riservata al Gran Visir. Questi dignitari, quando venivano a palazzo, in essa trovavano accoglienza. Un successivo regolamento del Sultano Mehmet Reshad stabilì che i Gran Visir dovevano essere invitati a pranzo a Palazzo due volte la settimana. Più tardi ancora, vennero introdotti nelle parti superiori della reggia.
In passato non c’erano tavoli in questa Stanza di Mezzo. Ora ce n’è uno di balsamo con incisioni in bronzo. Vi sono deposti dei vasi di Sèvres blu scuro e oro con le iniziali di Abdulmecit.
Mentre ci avviamo verso le scale che abbiamo di fronte, siamo colpiti all’istante dalla estesa magnificenza di ciò che ci circonda. La scalone, con i passamano di cristallo lavorato, le incisioni in oro, i tappeti e il lampadario che lo sovrasta con la sua belleza quasi indescrivibile, è virtualmente unico. Non è uno scalone comune. Pochi scalini dal piano terra ed ecco un pianerottolo.
La finghiera di questa splendida scalinata è tutta di cristallo.
Due vasi, collocati dietro il paravento a due ante, all’inizio della prima rampa di scale, sono giapponesi.
Come entriamo al piano superiore, ci troviamo di fronte o un paravento di vetro a due ante e ad un ampio locale, il «Mabeyn Salonu» (appartamento privato del palazzo). I due grandi vasi ai due lati delle scale sono opera di Sèvres.
Oltre a questi due vasi, possono vedere due enormi zanne di elefante, anch’esse una di fronte all’altra, ornate da ramificazioni d’argento. Su di esse pendono candelabri e anfore d’argento. Sono i regali dell’Hedjaz, quando quella parte dell’ Arabia era una provincia dell’Impero ottomano.
Sala Mabeyn
Varcando il paravento a due ante ed entrando nel salone, ci troviamo immersi in una atmosfera di magnificenza, spaziosità, ricchezza, in una profusione di ornamenti. Come al piano inferiore, nel salone «Medhal», un grande lampadario Baccarat pende esattamente al centro del salone. Gli occhi alzati a guardarlo, saranno sorpresi e deliziati dalle decorazioni incise e scolpite in oro sul soffitto. Sono opera dei migliori artisti italiani e francesi dell’epoca. Il lampadario centrale è completato da infissi luminosi, di cristallo Baccarat, ai quattro angoli, di trenta lampade ciascuno. Le cornici dei quattro grossi caminetti che si aprono ai quattro angoli della sala sono formate da cristalli molati sceltissimi. Per tutte le ore del giorno, la luce e I colori riflessi da queste decorazioni formano disegni cangianti dovunque vadano a colpire le pareti. Tutti i deliziosi effetti di luce sono provocati dai cristall.
Al centro della sala spazia un grande tappeto turco della famosa fabbrica Hereke che misura 17 metri per 6,5.
Il visitatore farebbe bene a dara un’occhiata attraverso i pannelli di vetro delle due porte chiuse a destra dell’ingresso. Vedrà all’interno un tavolo con fiori d’argento su di un cesto di frutta e molte comode sedie fasciate di damasco azzurro. E’ la sala da pranzo non ufficiale. Infatti, la maggior parte dei pranzi ufficiali non fu tenuta qui ma in altre sale.
Anche in questo locale ci sono due grossi bracieri d’argento, chiamati «mangal», e due enormi pellicce di orso bianco, collocate in posizione simmetrica rispetto ai due bracieri. Sono i doni dello zar di Russia Nicola II al Sultano. Una di esse è posta di fronte all’ingresso della sala; la seconda, in un punto corrispondente, un poco più avanti.
Sale degli Ospiti-Süfera Salonu
Proseguiamo. Entreremo ora in due sale, l’una dentro all’ altra. Un lato si affaccia sul retro dei giardini; l’altro guarda verso l’entrata e il giardino attraverso i quali passammo per raggiungere il Palazzo. Sono i locali riservati agli ambasciatori in visita e ai loro interpreti. Sulla destra della prima è fissato un grande specchio di cristallo. C’è un vaso di Sèvres su di un tavolo dorato al centro, di Aiwazowsky. Il quadro che riproduce una tempesta, sulla destra, è un’opera di valore, oggi uno dei tesori del Palazzo. Al centro della sala è sospeso un lampadario di Baccarat e, sulle pareti, altri tre quadri di Aiwazowsky. La tappezzeria delle pareti sembra tulle.
Ora lasciamo queste stanze e proseguiamo a destra. Questo lato della sala porge sul giardino d’ingresso al palazzo che prima abbiamo attraversato. Sul frontone del palazzo ci sono delle finestre. A destra e a sinistra di esse, nella sala, campeggiano degli specchi immensi che riflettono porte e specchi in una serie infinita, secondo l’arte di Sc’nònbrunn a Vienna che ha trovato qui applicazione. L’effetto è notevole. A un lato della sala, un armadio d’argento attira la nostra attenzione: si tratta di un orologio, termometro e barometro al tempo stesso, dono dello stesso governatore dell’Hedjaz che fu il donatore delle grandi zanne di elefante.
Sala di Ricevimento-Elçi Kabul Odası
Continuando a destra, entriamo in altri due locali, uno al di là dell’altro. Si aprono sull’ala a mare del Palazzo. Erano le sale di ricevimento destinate dal Sultano agli ambasciatori stranieri. Secondo l’etichetta, questi ospiti passavano tra le due file di un picchetto d’onore con le spade sguainate nel grande corridoio dell’ingresso. Quindi gli ambasciatori lasciavano il loro seguito nella sala esterna per entrare nella prima sala ad aspettare. Poco dopo venivano ammessi alla presenza del Sultano.
Nel primo salone notiamo un vaso di Sèvres blu scuro su di un tavolo di marmo dorato, sotto un imponente lampadario che scende al centro della sala. I due quadri sul muro a destra riproducono scene della guerra greco-turca del 1897. La prima tela porta la firma del pittore tedesco Rocholl mentre il quadro verso la finestra è opera del famoso Zonato, il nemico greco, caduto e sconfitto, è rappresentato davanti alle truppe turche che avanzano vittoriose. In quel conflitto, prima dell’intervento delle grandi potenze, l’esercito turco si era avvicinato di molto ad Atene.
Il quadro sotto vetro, sul muro a destra, è un mosaico che raffigura il famoso Foro Romano. Varcando la porta a fiori ed entrando nella seconda saia, che ha undici finestre e tre lati, ci rendiamo conto dello splendore ottenuto dal felice impiego dell’oro rosso e smagliante. Il locale è abbellito da due caminetti, uno per lato della porta, da una colonna di cristallo di Boemia rosso e bianco poggiata su di un basamento, di fronte ai caminetti, da uno specchio di cristallo che arriva fino al soffitto e da vasi posti davanti alio specchio. A sinistra è disposto un tavolo rotondo smaltato, can un ritratto di Napoleone Bonaparte al centro. Intorno a questo ritratto sono raggruppati ritratti femminili, tutti in smalto, che raffigurano le dame che ebbero rapporti con l’imperatore francese. Vi è eppeso un lampadario d’incomparabile bellezza e fanno mostra comode sedie dorate e tappezzate di damasco rosso della fabbrica turca di Hereke, in stile Luigi XV. Tende dello stesso colore e cornici dorate con molte incisioni avvolgono la sala. Il pavimento è interamente ricoperto da un tappeto persiano di eccezionale bellezza. Sul tavolo al centro della stanza sono posati due deliziosi candelabri rosa. Sulla parete del lato a mare c’è un orologio a muro di bronzo che appartiene al periodo di Luigi XV. Agli angoli si vedono vasi del periodo impero.
Come sopra riferito, questo stupendo locale era usato dai Sultani per ricevere gli ambasciatori stranieri. Fra i diplomatici che qui furono rcevuti in udienza potremmo ricordare gli americani Brown e James William; i francesi Thouvenal, il conte di Laliemand, il marchese De La Vailette, il marchese di Noailles e Maurice Bompard; gli austriaci barone Bruck, Roller, Pro- kesch-Osten, Zichy e Pallavicini; gli inglesi Sir Stafford Canning, Sir Flenry L. Bulwer, Henry Austen Layard e Sir G. Lawter.
Quattro Sultani dell’Impero Ottomano ricevettero questi ambasciatori nel salone in cui ci troviamo: il raffinato Abdulmecit, l’imponente e focoso Abdulaziz, il sospettoso Abdulhamit e il vecchio e rassegnato Mehmet Reshad.
A proposito di questi incontri tra il capo del’lmpero Ottomano e un ambasciatore, si ricorda un curioso incidente. Un diplomatico che sapeva ben poco il francese giunse a Istanbul e si recò a Palazzo Dolmabahce. Siccome aveva mandato a memoria il discorso da tenere ai Sultano e, una volta ammesso alla sua presenza, ebbe una completa amnesia, non riuscì a dire altro che la prima frase di saluto al sovrano. Perplesso, ma ritenendo che l’ambasciatore avesse detto tutto quanto era venuto a dirgli, il Sultano, che era Abdulaziz, lasciò la sala. L’ambasciatore, confuso, espresse il suo rammarico al ministro degli esteri, Ali Pascià, che raggiunse il Sultano per riferirgli in sintesi il discorso che l’ambasciatore voleva rivolgergli.
L’ultimo Sultano a tenere udienze in questo locale fu Mehmet VI. Mentre il movimento d’indipendenza stava prendendo forza e ascendente in Anatolia, il vecchio sovrano sedeva qui a conversare, lo stanco capo reclino, senza rivelare quali pensieri gli passavano per la mente e dimostrando scarso interesse agli ambasciatori che sedevano impeccabili davanti a lui. Lasciamo ora questo locale denso di memorie e rientriamo nell’ampio salone centrale. Saliamo le scale e giungiamo a un ampio pianerottolo da dove possiamo proseguire verso le ali interne del Palazzo.
Su questo pianerottolo notiamo ancora degli infissi di cristallo Baccarat poggiati su delle basi. In fondo si allineano gruppi di sofà e nello spazio di fronte sono collocati tre orologi, l’uno accanto all’altro. L’orologio di destra e quello di sinistra hanno le lancette delle ore e dei minuti a forma di stella e di una mezzaluna, e sono ingioiellate. Le casse esterne sono d’argento. I due grossi orologi sono stati montati nell’arsenale navale di Istanbul. Quello al centro del gruppo ha la forma di una semplice lanterna; dall’esterno si vede l’intero meccanismo che reca una sola ruota. E’ opera di Eflaki Dede e il suo nome è scritto sul pezzo che risale al 1810. Può essere imeressante aggiungere che l’orologio ha funzionato a dovere per 162 anni.
Giriamo ora tutto attorno a questo pianerottolo colonnato delle scale. Prima di varcare il paravento a due ante di vetro che ci sta di fronte, possiamo entrare nella sala di sinistra che si affaccia sul giardino. Vi si trovano dei raffinati lavori indiani, grossi vasi da fiori d’argento. Due quadri alle pareti recano la firma di Fugnet e raffigurano nomadi e cavalli in aperta campagna
Salone Zülvecheyn-Zülvecheyn Salonu
Non appena varcato il paravento di vetro succitato, siamo attratti dal «parquet» sul pavimento. Si notano armadi di Damasco con le cornici di porfido e su di essi dei vasi cinesi dal piedistallo d’argento. Alle pareti sono appoggiati dei pregevoli orologi inglesi. Al centro del salone in cui siamo entrati, troviamo un altro delizioso lampadario, quattro candelabri di Baccarat con piedini e trenta lampade, due bracieri d’argento sistemati in posizione simmetrica, un grande tappeto e, alla parete opposta, un caminetto di meraviglioso cristallo rosso di Boemia.
Secondo la terminologia di Palazzo, il salone si chiama «Zülvecheyn», nome che deriva dall’ubicazione del salone. «Zülvecheyn» significa «Due facce». Il locale infatti è situato fra i giardini esterno e interno e si estende da un lato all’altro del palazzo, porgendo così sia sul giardino che sul Bosforo. Era il luogo della reggia adibito alla preghiera; vi si tenevano servizi funebri in memoria dei defunti, cerimonie religiose e matrimoni, lezioni di religione tenute durante il Ramadan (il mese del digiuno) e preghiere collettive.
Quando Mehmet Reshad diventò Sultano nel 1909 succedendo ad Abduihamid, che aveva lasciato il Palazzo Dolmabahçe per andare a risiedere a Palazzo Yildiz, la grande reggia sul Bosforo venne riaperta e questo salone fu restaurate. Nei primi giorni del regno di Mehmet Reshad fu dato un fastoso banchetto in onore del Governatore d’Egitto, Abhas Hilmi Pascià. Gli stessi onori furono riservati al re e alla regina di Bulgaria quando visitarono Istanbul durante i primi giorni del governo costituzionale. Un grande tavolo fu addobbato con vasi d’argento e fiori mentre le portate vennero servite in vasellame d’oro. Gli ospiti entravano indossando abiti eleganti di gran gala. Le signore erano di gran lunga più attraenti per i molti preziosi gioielli che indossavano. I camerieri andavano e venivano nelle loro livree formate da giacche rosse trapuntate d’argento, calzoni neri e guanti bianchi. Per tutto il tempo un’orchestra suonava le melodie di piacevoli canzoni. La sala Zülvecheyn è oggi silenziosa come ogni museo, le sue musiche sono cessate per sempre, come le risa e le cerimonie. Ma quali vivi ricordi conserva!
Bagno del Sultano-Hünkar Hamamı
Proseguendo la visita a Palazzo Dolmabahce, attraversiamo il corridoio per trovarci a un tratto nell’«Hunkar Hamami», il bagno del Sultano. La prima stanza in cui entriamo è lo spogliatoio. Sulla parete di sinistra è fissato un famoso dipinto di Zonaro che s’intitcla «Donne che salgono su di una barca». Poco oltre, incontriamo una lampada velata da notte quanto mai interessante che raffigura la sfrea terrestre. Sulia destra è collocato un incantevole quadro del pittore Halil che, probabilmente, rappresenta il fiume Goksu. E’ qui da notare il tappeto di seta verde chiaro sul pavimento, un capolavoro davvero incomparabile. Guardando all’interno del bagno, vediamo le pareti rivestite di alabastro color verde chiaro e grigio terra chiarissimo. Il soffitto della camera da bagno ha finestre rivestite di bronzo. Grazie ai lucernai sul soffitto, l’interno è molto luminoso. Se il visitatore poserà la mano sulla vasca a sinistra, ne potrà vedere la forma attraverso l’alabastro trasluido.
Quadri
Visitato questo meraviglioso bagno imperiale e percorso il corridoio, arriviamo a una lunga sala che funge da galleria d’arte. La parete a destra è coperta di quadri. Da essa ci guardano i sovrani di un tempo; sono il Suitano Mahmut II, l’imperatore Francesco Giuseppe, il Sultano Abdulaziz, l’inglese principe Alberto, la regina Vittoria, il Sultano Murad V, il re Alessandro di Serbia, il Sultano Abdulhamit II e il principe Ferdinando.
Usciamo dalla galleria sulla sinistra e proseguiamo la visita al palazzo. Ci troviamo ora nel corridoio dell’Harem dei Sultani la cui parete di destra è coperta di dipinti. La parete di sinistra ha delie finestre che porgono sul giardino retrostante. A sinistra, un quadro che raffigura dei nomadi è firmato «G. Washington». A una svolta del corridoio ci troviamo di fronte a un dipinto di Zonaro che ritrae Venezia del 1895. C’è anche un prezioso Aiwazowsky che ritrae la cupa atmosfera di un paesaggio poco prima che piova. Alcuni di questi quadri furono portati a Istanbul dal Sultano Abdulaziz di ritorno dall’Europa. Altri furono acquistati dal Palazzo quando Aiwazowsky giunse a Istanbul.
Harem
Il corridoio nel quale siamo entrati varcando un arco di porta è pure ricolmo di quadri. A destra c’è un Zonaro che ritrae l’imperatore Guglielmo II e l’imperatrice sul pontile di sbarco in occasione della loro visita a Istanbul. Sulla sinistra c’è un quadro, di anonimo, che raffigura il Palazzo Yildiz e i suoi giardini, residenza del Sultano Abdulhamit. Un dipinto che porta la firma di Zekài ritrae gli «yali», o ville in riva al mare, del Bosforo. Davanti a noi c’è ora uno specchio. A destra del salone piuttosto cupo nel quale entriamo è fissato un quadro di Dumarsu che rappresenta la resa dell’esercito austriaco a Napoleone. Da notare il pregevole lavoro in legno dei due armadi posti ai due lati. Uno stupendo dipinto, sulla sinistra, è dovuto all’artista belga Rysselberghe ed è una poetica interpretazione del Ponte di Galata (visto dal Corno d’Oro), come si presentava nei tempi andati. A destra della porta c’è altro Zonaro che raffigura il Kaiser Guglielmo II in visita a Palazzo Yildiz.
Il corridoio in cui ora entriamo fu appositamente studiato per le dame dell’Harem imperiale affinché potessero, in completo isolamento, seguire le cerimonie che avevano luogo nel grande salone centrale «Muayede Salonu» (Salone delle Cerimonie), molto più in basso. Le finestre a grata sulla sinistra servivano allo scopo. Le finestre di vetro azzurro sulla destra si affacciavano sul giardini e sul Bosforo. Anche qui ci sono molti quadri. La maggior parte di essi hanno per soggetto le guerre ottomane e sono opere di artisti turchi. Quelli che raffigurano il Sultano Fatih Mehmet, il Conquistatore eli Istanbul, sono opere di Zonaro.
Lasciamo questo locale ed entriamo nel’anticamera. Sulla sinistra c’è un armadio di Damasco. I quadri, questa volta, hanno per soggetti la natura, i campi, gli animali. Il quadro che abbiamo davanti ritrae un cavallo bianco che appartenne ad Abdulmecit il quale, non avendo fruito del titolo di Sultano, fu l’ultimo Califfo Ottomano.
Il corridoio dal quale passiamo per allontanarci da quest’ ala, ci conduce avanti, a un certo numero di gradini e a un pianerottolo. Di rilievo, i brillanti colori azzurro e rosa del quadro di Aiwazowsky sulla sinistra, che s’intitola «Rifugiati dalla tempesta». In un altro dipinto di questo artista si coglie una scena di rami appesantiti dalla neve, uccelli che volano come bioccoli di neve e bambini in corsa. L’opera, ben degna d’un museo, ci porta con l’immaginazione da Palazzo Dolmabahçe alla Russia degli zar dei tempi andati.
Sala di ricevimento della Madre Sultana-Harem Hünkar Odası
Più avanti si giunge a un locale che ospita un grande organo. Sulla destra si apre la sala di ricevimento della Valide Sultan, la madre del Sultano. Si tratta di un’altra delle imponenti sale che il Palazzo annovera. Sulla sinistra c’è un caminetto di marmo bianco con fregi d’oro. L’alto specchio di cristallo è sistemato sopra il caminetto per riflettere le luci del grande lampadario di Baccarat che scende al centro del salone e, con esse, un vaso pregiato color blu intenso e i candelabri d’oro. Il payimento è coperto da un tappeto a fiori Gobelin. AI centro del vano c’è un tavolo nero dorato sul quale si trovano dei vasi di Sèvres. Comode sedie sono fasciate di damasco rosso e le pareti sono tappezzate con la stessa stoffa. Peonie bianche sembrano fiorire su di un paravento a due ante sull’angolo sinistro.
Secondo Théophile Gautier, che visitò il palazzo mentre lo stavano costruendo, l’appartamento della Sultana Valide :
«Che consiste di sale imponenti, affacciata sul Bosforo, è notevole per i suoi soffitti impreziositi di affreschi di una incomparabile eleganza e levità. Non so chi furono gli artigiani che crearono queste meraviglie, ma Diaz non avrebbe potuto trovare sulla sua tavolozza toni più delicati, più vaporosi, più teneri e più ricchi allo stesso tempo. Ci sono cieli di un turchese scintillante, cor nuvole leggere che digradano verso incredibili profondità; da un’altra parte, veli come pizzi eli un disegno meraviglioso, quindi una grande conchiglia di madreperla iridescente che contiene tutti i colori dell’arcobaleno, o anche fiori stilizzati che arrampicano fiori e foglie su tralicci d’oro. Le altre stanze sono decorate in modo simile: qua si presenta un cofanetto in cui i gioielli sono rovesciati in un disordine luccicante; là si vedono collane le cui perle si sono sfilate e rotolano in giro come gocce di pioggia; o ancora un rivolo di diamanti, zaffiri e rubini forma il motivo di una decorazione mentre flaconi di profumo dorati sono dipinti sulle cornici, dalle quali gli effluvii azzurrini delle essenze si levano a formare una nebbia di vapore trasparente».
Sala delle cerimonie dell’Harem-Mavi Salon
Usciti dagli appartamenti della «Valide Sultan(a)»,( la madre del re) ritorniamo nell’ampio salone. Ancora una volta ci troviamo di fronte al grande lampadario che scende dal centro del soffitto e ancora vediamo i quattro alti candelabri di Baccarat che poggiano sui loro piedini. Alla nostra destra, sul lato del Bosforo, altri due lampadari destano la nostra ammirazione. Il muro opposto è pavesato di cortine azzurre mentre il soffitto è fittamente lavorato. Un tempo il locale era riscaldato da due bracieri. La sala veniva usata dai Sultani per ricevere gi omaggi delle dame di Palazzo in occasione di feste e inaugurazioni. Nel corso di numerose cerimonie, le Sultane reali, indossando vesti di damasco e tulle con lunghe gonne, con spille lampeggianti sul loro petto e gioielli nelle chiome, devono aver riempito questa sala, insieme alle molte altre favorite e deliziose fanciule della casa imperiale.
E’ probabile che in quelle festività le Tesoriere avessero assunto il ruolo di Maestre delle Cerimonie, con scettri montati d’argento in mano, abbigliamenti doviziosamente guarniti sulle loro spalle e il tocco finale di parucche dalle lunghe trecce.
Le musiche dovevano essere suonate da 80 belle fanciulle la banda ufficiale dell’Harem, in giro per il gineceo. Le giovani donne della banda dell’Harem indossavano pantaloni di vellute con due centimetri di trine ai fianchi, finanziere con colletto, maniche e spalline adorne di galloni e bottoni d’oro. La banda era composta da clarinetto, flauto, primo, secondo e terzo corno, cembali, tamburi e altri strumenti musicali. Prima di tutti gli altri, veniva un delizioso strumento chiamato «ombrello giapponese» che sì piegava in continuazione mentre la banda suonava; al movimento, i campanelli fissati alle punte dell’ombrello giapponese producevano un suono piacevole come quelle dell’acqua che zampiila.
Negli ultimi 50 anni della Dinastia Ottomana, gli ultimi cinque Sultani fecero la loro comparsa in queste salone al mattino dei giorni di festa. Non appena il Maestro delle Cerimonie si presentava sulla porta ad arco, dalla quale sarebbe entrato il Sultano, il capo-banda cominciava a far girare lo scettro al disopra della sua testa. Quando alla porta si affacciava il Secondo Tesoriere, il capo-banda gettava in alto Io scettro A quel segnale, la musica cominciava a suonare mentre il Sultano si faceva avanti con gli altri tesorieri ai fianchi. Dopodiché, la banda intonava la Marcia del Sultano. Quindi la Sultana gli si avvicinava inchinandosi e mettendosi in fila sulla destra. Così cominciavano gli omaggi al Sultano Ottomano da parte dei membri della sua casa.
Al termine, il Tesoriere, con due aiutanti, apriva una grossa borsa merlettata e cominciava a gettare in giro manciate di piastre d’oro. Ognuno, giovane o vecchio, si univa a raccogliere lo monete d’oro poiché si credeva fosse un grande onore avere denaro in quel modo. Alla fine il Sultano se ne andava.
Nell’ultimo giorno di festa del suo regno, il Sultano AbduImecit, il costruttore del Palazzo, era ormai agli stadi estremi della tubercolosi. Apparve alla cerimonia con un volto emaciato od evanescente. Nessuno dei cortigiani presenti ebbe l’animo di gettare le monete secondo l’uso e fu una ragazza che, alla fine, assolse quel compito per ordine del Sultano ma nessuno raccolse le monete d’oro, che rimasero a luccicare sul pavimento della sala. AbduImecit, monarca sensibile e illuminato se mai ce ne fu uno, morì una settimana dopo questa triste cerimonia a Palazzo Dolmabahçe.
Il suo successore, il Sultano Abdulaziz, accettò gli omaggi dell’Harem imperiale ma, contrariamente alla tradizione, insistè nel voler fare ii giro della sala a parlare con le signore per informarsi sul loro stato di salute. Nel 1876 il Sultano Abdulaziz venne detronizzato e solo cinque giorni dopo morì di sconforto in un palazzo a Ortaköy, sul Bosforo. Il nuovo Sultano, Murad V, accolse gli omaggi tradizionali in questo salone ma senza attribuirvi grande importanza. Quando il Sultano Mehmet Reshad riaprì il Palazzo Dolmabahce, dopo che era stato chiuso da Abdulhamit, assistè alle cerimonie nella stanza d’angolo che porge sul Bosforo. Salì le scale, trascinandosi sui piedi vecchi e stanchi, per essere presente alla manifestazione. La tristezza o la magnificenza dei tempi andati pervadono ancora il salone azzurro che custodisce la memoria dei Sultani del passato, scomparsi per sempre.
Proseguendo, entriamo nella camera da letto che appartenne alla «Valide Sultan», la madre del re. Le dorature del guardaroba e del letto si armonizzano felicemente. C’è anche un ampio cassettone decorato di madreperla in modo superbo. Superata la camera della Madre Sultana e percorrendo un corridoio sulla destra, entriamo nello studio di Atatürk. Sulla parete di sinistra un quadro di Aiwazowsky riproduce tre navi. Un semplice tavolo levigato contrasta con i sontuosi arredi dei Sultani Ottomani. Eppure, quali progeti che mutarono il corso della storia vennero messi a punto su questo tavolo!
Bagno dell’Harem-Harem Hamamı
Il tavolo rotondo di ceramica, al centro, è un manufatto turco, dovuto alle famose lavorazioni di Kutahya e, insieme agli otto corti candelabri dorati che vi sono posati, riveste uno speciale motivo di interesse. Questa parte della reggia si compone di due sezioni, Luna adiacente all’altra: la stanza fredda e quella calda. Le pareti sono ricoperte di disegni di tipo europeo a fiori di lillà, ma le piastrelle sono di fattura squisitamente turca e provengono da Iznik. Nello spogliatoio è collocata una stufa di piastrelle rotonda e deliziosi fiori artificiali di fronte allo specchio, a sinistra.
Attraversiamo ora i bui corridoi sulla sinistra. Ancora una volta ci troviamo nella sala decorata con un grande lampadario che scende dal soffitto e con quattro candelabri di Baccarat poggiati sui piedini.
Camera di Abdülaziz-Abdülaziz’in Odası
Il locale nell’angolo destro apparteneva al Sultano Abdülaziz. Ogni visitatore, senza eccezione, rimane colpito dalle notevoli proporzioni del letto ma un’occhiata al ritratto del Sultano, appeso alla parete, lo aiuterà a comprenderne le ragioni. Abdülaziz fu davvero un uomo di notevoli proporzioni! Un poco più avanti, a sinistra, c’è una grossa sedia indorata. Premendo un bottone, ecco che diventa una comodissima sedia a sdraio.
Procedendo nella visita, camminiamo lungo il vestibolo. Sulla destra dell’uscita, si notano un paravento giapponese a due ante, una colonna e due vasi.
Secondo pianerottolo
Superata una vetrata, ci troviamo in un locale stupendo : un lampadario rosso e bianco di Boemia sembra riempire il salone. Il grande tappeto che si stende nel vasto salone scendendo fino alle scale è turco, un manufatto di Usak. Ancora una volta, l’illuminazione è data da un grande lampadario al soffitto e da un candelabro di Baccarat a trenta lampade che poggia su di una base. Sulla destra c’è l’ingresso all’Harem dal lato del Bosforo.
Da questo punto, attraverseremo le sale del primo piano, le cui corrispondenti visitammo al piano superiore.
Ccamera di Abdülmecit
L’ampia stanza che si apre a sinistra apparteneva al Sultano Abdulmecit. Fu in essa che morì il costruttore del Palazzo Dolmabahce. Sul tavolo al centro della stanza sono collocati dei vasi che contengono i suoi emblemi.
Sala Grande del Palazzo(Muayede Salonu)
Accingiamoci ora ad entrare nel salone principale di Palazzo Dolmabahce: il famoso «Muayede Salonu». Il locale, d’inusitata grandezza, è alto quanto due piani; tra tutti i grandi saloni del palazzo, il più sontuoso davvero. Le sue immense dimensioni sono 44 per 46 metri; 56 imponenti colonne cingono la spaziosità del salone. L’alta cupola, con i suoi mille e uno affreschi colorati che risaltano, è come una grande finestra aperta alle glorie stravaganti del’immaginazione di un artista! Il grandioso lampadario inglese non ha meno di 750 luci e pesa quattro tonnellate e mezza. Quattro immense lampade a stelo, di cristallo, poste su colonne, sono collocate ai quattro angoli della stanza. Altre lampade su colonne sono situate un po’ dovunque nel salone. Dominante su tutta la maestosa scena, il grande lampadario versa, nei giorni delle celebrazioni, la sua illuminazione sull’intero imponente locale come un raggio di luce abbagliante. Le quattro ampie balconate che sovrastano il salone erano un tempo riservate agli ospiti, ai funzionari dello Stato e all’orchestra del Palazzo. Dalle finestre a grata superiori, le signore dell’Harem impreriale seguivano le cerimonie in distanza.
Con il Sultano Abdulmecit, la residenza ufficiale e permanente dei sovrani fu trasferita dal Palazzo Topkapi al Dolmabahce. Il «Muayede Salonu« divenne allora la sede ufficiale delle cerimonie che si svolgevano nelle festività.
Il grande trono dorato del Palazzo Topkapi venne trasferito al Dolmabahce e sistemato in questo salone, contro la parete sul lato del giardino retrostante. Di fronte al trono, un podio d’onore fu riservato per gli alti ufficiali.
Di norma, i Sultani tornavano dalle preghiere del Giorno Santo al mattino presto. Si fermavano quindi per un certo tempo in una delle quattro stanze poste ai quattro angoli della sala, quindi proseguivano verso il trono. Nel corso di questa parte della cerimonia, i cortigiani applaudivano mentre l’orchestra suonava la Marcia del Sultano.
Da notarsi che in questo locale il sovrano riceveva gli omaggi dei soli componenti maschili della famiglia imperiale, dei Visir, dei Ministri e di quanti erano stati invitati alla cerimonia.
Durante gli ultimi 70 anni di regno della dinastia ottomana, lo storico salone assistè a molti grandi eventi. Nel 1856, il costruttore del Palazzo, il Sultano Abdulmecit, diede un grande banchetto in onore dei maresciallo Pellessier, comandante nella guerra di Crimea. Più tardi si tenne un sontuoso ricevimento ufficiale in onore dell’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe.
Quando il Sultano Abdulaziz fu detronizzato, gli successe sul trono dell’Impero Ottomano l’inetto fratello Murad V. Fu in questa sala che il nuovo sovrano, quando gli si avvicinarono alcuni vescovi armeni e greci per congratularsi con lui, fu colto da una grande paura per le loro lunghe tonache nere e cercò di fuggire.
Il giovane imperatore austro-ungarico Carlo e l’imperatrice furono ricevuti in questo salone durante gli ultimi mesi della prima guerra mondiale. Congedandosi a notte fonda, il giovane imperatore passò da una porta illuminata che si apriva sul mare oscuro dove un vascello di Stato aspettava per accoglierlo.
Quando Murad V fu detronizzato, lo statista Mithat Pasha convocò in questo salone l’Assemblea Nazionale il 9 marzo 1877; vi convennero tutti i militari, i diplomatici e gli scienziati, che presero posto a sedere su più ordini di file sotto il grande soffitto affrescato.
Il nuovo Sultano Abdulhamit II arrivò in uniforme, avvolto in un mantello nero, in compagnia dei suoi fratelli. Il suo discorso, della durata di mezz’ora, fu letto dal Ciambellano di Corte; discorso nel quale il monarca riconobbe la Costituzione e Mithat Pasha. Doveva invece continuare a reggere lo Stato per 36 anni di regno in maniera autoritaria finché il suo potere non ebbe termine a causa di una rivolta militare. Un periodo di 36 anni durante il quale, come sopra ricordato, il Sultano risiedette a Palazzo Yildiz.
Toccò ad Atatürk imprimere nell’animo del suo popolo, ed a questo palazzo, lo spirito e la dinamicità del ventesimo secolo. Dopo aver scacciato i nemici della Turchia dai confini delia patria, si assentò per cinque anni da Istanbul. Quando ritornò, il I luglio 1927, fu accolto da una folla strabocchevole eli cittadini esultanti. Persino il mare era gremito di navi e barche di ogni tipo. A nome della città di Istanbul, il Sehremini (Prefetto del capouogo) gli diede il benvenuto ufficiale con un discorso tenuto a Palazzo Dolmabahce. Quando il discorso ebbe termine, tutti gli sguardi si volsero a guardare quest’uomo biondo, il fondatore della Repubblica. Stava ritto in piedi, davanti a una semplice sedia posta dove, ai tempi della monarchia, era sempre stato il trono dei Sultani. Quando comincio a parlare, si mise a camminare per l’enorme sala. Con la sua voce che si faceva sentire dovunque nel vasto locale, disse:
«Otto anni sono trascarsi dal giorno in cui partii da istanbul. Mi sono allontanato da questa città con le lacrime agli occhi e con il cuore spezzato. Non c’era nessuno a salutarmi. Ora, a otto anni di distanza, ritorno col cuore leggero in una città in festa. E’ il più alto scopo della nostra vita raggiungere il benessere e la prosperità del nostro popolo, eievare i suoi sentimenti e rafforzare la sua coscienza con il progresso scientifico e tecnologico. Questo vi dico, amatissimo popolo di Istanbul, in questo palazzo in cui, fino ad otto anni fa, ci era stato comandato di considerare il potere del Sultano come superumano. Questo palazzo non appartiene più ai Sultani, definiti le «Ombre di Dio», ma appartiene proprio al popolo, che non è un’ombra. E’ il palazzo della Nazione».
L’annuncio fu accolto da un applauso che scosse la grande sala. Per la Turchia era cominciata una nuova epoca. Quando l’applauso finì, Atatùrk guardò tutto attorno la grande folla radunata e aggiunse:
«Sono qui – disse – come ospite della Nazione». E con ciò aprì il palazzo al popolo e ai dignitari.
Cinque anni più tardi, in occasione di una visita a Istanbul, presiedette alla seduta inaugurale del Primo Comitato Linguistico preposto ad affrancare la lingua turca dalle influenze delle lingue araba e persiana. In questa seduta non si udì la Marcia del Sultano mal l’inno nazionale turco.
Nel 1930, a Palazzo Dolmabahce si tenne la Conferenza Intemazionale per il Turismo. Nella prima sala d’ingresso furono tenuti dei convegni storici. Nel 1937 vi fu aperta una mostra dedicata alla storia turca, dai suoi esordi nell’Asia Centrale fino ai giorni nostri.
Un anno dopo, la salma del grande condottiero turco veniva composta, in forma solenne, nell’immenso salone dove oggi le sue parole vengono ricordate. Centinaia di corone furono deposte in omaggio davanti al catafalco; torce vennero fatte ardere alla testa della sua bara mentre nessun’altra luce fu accesa. Generali veterani, con le spade in pugno, furono le sue ultime guardie.
Migliaia e migliaia di persone del suo popolo amato sfilarono per giorni davanti alla salma di Atatürk. La mia prima impressione di Palazzo Dolmabahce risale alle mattine e sere di quel novembre uggioso in cui la gente passava a testa bassa, dolente.
La salma di Atatürk fu portata sull’affusto di un grande cannone a una nave da guerra in attesa. Le autorità e i generali, sull’attenti in posizione di cordoglio, riflettevano il nostro amaro dolore mentre porgevano l’estremo saluto al condottiero.
Mentre lasciamo questa grande sala, giunti ormai al termine della visita e uscendo da Palazzo Dolmabahce, il resto ci sembra insignificante rispetto a ciò che abbiamo visitato. Un corridoio ci porta avanti. Vediamo uno specchio. Sul muro è appesa una grande carta dell’Impero Ottomano. Alla fine del corridoio, sulla destra, sorge il «Mescit», o piccola moschea. Accanto c’è la stanza di Hodja. E ancora un’altra stanza, la sala d’attesa per i séguiti degli ambasciatori. La porta a destra conduce al giardino quella a sinistra conduce al Bosforo. Mentre proseguiamo lungo il corridoio di sinistra, si vedono le stanze dei segretari. In una sala, attira la nostra attenzione una lampada a olio inglese di vetro verde chiaro. Alla destra c’é un dipinto di Ussi che rappresenta il «Surre Alayi» inviato alla Città Santa della Mecca dal Sultano e il Mausoleo del Profeta Maometto nell’Hedjaz.
L’ultimo locale è l’ufficio del segretario capo. Dopodiché entriamo nella sala «Medhal» dalla quale usciamo per ritrovarci in giardino.
Nel corso di questa visita, durata circa due ore, abbiamo visto pressoché la metà dell’intera superficie, senz’altro quella più interessante, di quel grande tesoro nazionale turco che è il Palazzo Dolmabahce.